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"Chi cambia casacca...". Quando Di Maio attaccava i voltagabbana

Nel 2017 il ministro degli Esteri puntava il dito contro chi usciva dal partito nel quale era stato eletto e chiedeva le dimissioni. Ora sembra proprio aver cambiato idea

"Chi cambia casacca...". Quando Di Maio attaccava i voltagabbana

Vi ricordate quando Luigi Di Maio andava in video a parlare di "mercato delle vacche", riferendosi ai parlamentari che uscivano dai partiti con i quali erano stati eletti in parlamento? E ci credeva tantissimo quando diceva che "per il M5s, se uno vuole andare in un partito diverso da quello votato dai suoi elettori si dimette e lascia il posto a un altro". O almeno, sembrava crederci. Cos'è cambiato nel corso degli ultimi anni? Il 21 giugno, infatti, Gigi Di Maio ha lasciato il Movimento 5 stelle con una conferenza stampa sentita e a tratti commossa, picconando i principali mantra di quello per anni è stato il suo partito. In una logica di coerenza, quel Di Maio avrebbe dovuto annunciare anche le sue dimissioni dal governo, dove ricopre il ruolo di ministro degli Esteri. E invece no. Anzi, ha sviolinato Mario Draghi e l'intero esecutivo.

Nel 2017 prendeva come esempio il Portogallo e la "civilissima Gran Bretagna", come diceva lui. L'Italia no, perché nel nostro Paese "se ne fregano". Degli ipotetici altri se ne fregano, diceva Di Maio. Perché una volta che (loro) "sono in parlamento gli elettori non contano più nulla. Quello che conta è: la poltrona, il megastipendio, il desiderio di potere". Così parlava con piglio deciso Luigi Di Maio guardando dritto davanti a sé nel video condiviso con tanto di logo del Movimento 5 stelle. Ma a distanza di anni, ora che tra quegli "altri" ci è finito anche lui, il ministro degli Esteri non ha niente da dire?

Anche perché quel video non fu l'unico momento in cui Di Maio provò a dare lezioni di politica e di civiltà ai suoi colleghi parlamentari. Qualche anno prima, nel 2015, ospite di Giovanni Floris a Di Martedì, il ministro degli Esteri già punzecchiava su quello stesso tema, invocando niente meno che una modifica costituzionale, "che dice con molta gentilezza, a chi viene eletto con un partito e non è più d'accordo, che se ne torna a casa sua e poi si fa rieleggere". Bene, bravo. Ma allora perché non ha annunciato anche la contestuale dimissione da titolare della Farnesina mentre dava l'addio al M5s? Evidentemente, in quel che diceva, non credeva poi tanto nemmeno lui.

Però andava in tv a ripetere la favoletta, che raccontava con convinzione anche sui suoi social. "Chi cambia casacca, tenendosi la poltrona, dimostra di tenere a cuore solo il proprio status, il proprio stipendio e la propria carica".

E nel 2017 si sperticava in elogi per il Paese lusitano: "Non so voi, ma a me piace l'articolo 160 della Costituzione del Portogallo: 'Perdono il mandato i deputati che s'iscrivono a un partito diverso da quello per cui erano stati eletti'". A noi sì, e a te piace ancora, caro Gigi, quell'articolo?

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