A quattro anni di distanza dal luglio infuocato di Lampedusa, quando centinaia di tunisini salvati in mare e portati nell'isola devastarono e incendiarono il centro di accoglienza, scontrandosi con le forze di polizia e con gli abitanti del paese, tre dei giovani arabi che in quei giorni si trovavano nel centro hanno ottenuto il diritto a vedersi risarcire con diecimila euro a testa dal governo italiano. Una sentenza celere della Corte europea dei diritti dell'Uomo (che in genere impiega anche sette o otto anni per decidere i casi che approdano sul suo tavolo) condanna l'Italia a versare a indennizzare Saber Khlaifia, Fakhreddine Tabal e Mohamed Sfar per una lunga serie di violazioni della Convenzione europea. Per i tre è una vittoria solo parziale, visto che ottengono molto meno dei settantamila euro che pretendevano. Ma per l'Italia è una stangata innanzitutto di immagine, senza contare che adesso richieste analoghe potrebbero venire presentate da altre migliaia di migranti. E infatti l'Arci, che rivendica di avere sponsorizzato e organizzato il ricorso dei tre arabi, festeggia: la decisione di Strasburgo «riveste una grande importanza, per i contenuti e per il contesto in cui si colloca» e «crea un importante precedente».
Eppure, nel testo della sentenza depositato ieri, i giudici di Strasburgo danno atto che i tunisini «non disponevano di alcun visto di ingresso e la natura stessa del loro viaggio verso l'Italia dimostra la loro volontà di aggirare le leggi sull'immigrazione», e riconoscono che in quei giorni, dopo che la rottura degli accordi col governo tunisino aveva scatenato un esodo di massa in direzione delle nostre coste («alla data del 21 settembre 2011 sull'isola si trovavano 55.298 persone arrivate dal mare»); e pure che ad aggravare la situazione erano stati gli stessi ospiti, incendiando e devastando il centro di accoglienza di Contrada Imbriacola. I giudici di Strasburgo ricordano anche che l'inchiesta aperta dalla Procura di Palermo sul trasferimento coatto di centinaia di immigrati a bordo di cinque navi, dopo la devastazione del centro, si è conclusa con l'archiviazione delle accuse, perché l'imbarco venne disposto in stato di necessità: cioè non si poteva fare altro.
Ma tutto ciò non basta alla Corte a bocciare le richieste di condanna dell'Italia avanzate dai due avvocati milanesi che difendono i tunisini. L'Italia viene condannata per avere privato illegalmente della loro libertà i tre giovani arabi senza passare per l'autorizzazione di un giudice, senza dare loro la possibilità di presentare ricorso e senza informarli dei loro diritti. Per i giudici è dimostrato che le condizioni di vita nel centro di accoglienza di Lampedusa erano inumane, perché a dirlo non sono solo i tre ricorrenti ma anche Amnesty International e soprattutto la commissione d'inchiesta del Senato che nel marzo 2012, dopo avere visitato Contrada Imbriacola, aveva descritto severamente le condizioni di vita all'interno del centro.
Su un solo punto i tre tunisini si vedono dare torto: la richiesta di condannare l'Italia non solo per il trattamento che avrebbero ricevuto nel centro di accoglienza ma anche per le condizioni di vita inflitte loro a bordo dell'Audace e del Vincent, le due navi militari su cui erano stati spostati dopo la guerriglia scatenata a Lampedusa. I ricorrenti avevano descritto le navi come una specie di lager galleggianti. Ma sono stati smentiti dalle dichiarazioni di un parlamentare che aveva visitato le navi negli stessi giorni: «I migranti a bordo delle navi ormeggiate nel porto di Palermo sono in buone condizioni; sono assistiti regolarmente, dormono in cabine fornite di lenzuola e in poltrone reclinabili.
I pasti comprendono pasta, pollo, contorno, frutta e acqua». Lo avesse detto un deputato di Forza Italia, magari a Strasburgo avrebbero pensato che si fosse inventato tutto. Ma era Tonino Russo, del Pd: e i giudici gli hanno creduto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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