Cronache

"Chiamate Antonio". Il servitore dello Stato esperto di casi difficili

Giurista e presidente Antistrust. Al governo con destra e sinistra, amava mare ed eleganza

"Chiamate Antonio". Il servitore dello Stato esperto di casi difficili

«Chiamate Antonio, ci pensa lui», diceva Silvio Berlusconi. E Antonio arrivava e ci pensava: soluzione trovata. Poi è toccato a Mario Monti, «dov'è Antonio?», e sempre ecco Antonio che studiava la questione, mediava e sbrogliava la matassa. Così il premier successivo, Enrico Letta, se l'è tenuto ben stretto, anzi l'ha messo nel posto chiave di viceministro allo Sviluppo economico. E Antonio, come il Mister Wolf di Tarantino, pure da lì risolveva problemi. Lo voleva, pare, anche Mario Draghi, magari alle Infrastrutture o alla Transizione ecologica, del resto in giro non ce ne sono molti esperti al tempo stesso di diritto, di economia e di pubblica amministrazione.

È andata in modo diverso e ora, tra lo stupore generale, si parla di un bossolo da cercare e non di un dossier spinoso da affrontare. Antonio Catricalà, classe 1952, calabrese di Chiaravalle Centrale, era il prototipo del grand commis, l'esempio di scuola del servitore dello Stato, abile navigatore, perfetto conoscitore della macchina, capace di lavorare con il centrodestra e con il centrosinistra. L'elenco è lungo. Avvocato, giurista, magistrato del Consiglio di Stato, garante per la concorrenza, sottosegretario a Palazzo Chigi, viceministro. Da qualche tempo era tornato ai codici. Trasversale, apprezzato da tutti, competente: era l'uomo, raccontano, degli incarichi difficili. La sua tecnica? Studiare, coinvolgere, sdrammatizzare. Ascoltare.

Liceo classico al Galluppi di Catanzaro, laurea in Legge a Roma alla Sapienza a 22 anni. Allievo del professor Pietro Rescigno e, come Draghi, di Federico Caffè, ha svolto una serie incredibile di ruoli a cavallo tra la politica e la pubblica amministrazione. Sposato, due figlie, abilitazione forense a 24 anni, procuratore, avvocato dello Stato a 27, consigliere di Stato. E dopo questa carriera giuridica, il Cavaliere tra il 2001 e il 2005 lo ha chiamato a Palazzo Chigi come segretario generale della presidenza del Consiglio. Tutte le grane passavano per il suo tavolo, tutti i casi intricati erano affidati a lui.

Finita quella prima esperienza di governo, tra il 2005 e il 2011 Catricalà ha guidato l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato con un occhio di attenzione ai diritti dei consumatori. Finché nel 2011 Monti lo ha rivoluto a Palazzo Chigi nel suo esecutivo di emergenza, stavolta come sottosegretario alla presidenza. Dalla vicenda dei marò al decreto Salva Italia, dalle lacrime della Fornero alla complicata gestione dei rapporti in una maggioranza litigiosa, alle liberalizzazioni. Smussare, convincere, cercare soluzioni, questo il suo compito. E dopo, Enrico Letta, premier di un governo di larghe intese, lo ha tenuto in squadra.

Antonio Maccanico e Gianni Letta come numi tutelari, una vita pubblica tutta tra politica, finanza e giustizia. Nel 2014 è stato candidato da Forza Italia per la Corte Costituzionale. L'anno successivo è stato nominato presidente dell'Oam, l'organismo di controllo degli agenti di borsa e mediatori creditizi. Nel 2017 è stato messo al vertice della società Aeroporti di Roma. Nelle settimane scorse era diventato anche numero uno dell'Igi, istituti grandi infrastrutture. Tanti pure gli incarichi rifiutati, «perché non si può fare tutto». No quindi via twitter all'Agcom, no all'autorità del gas e dell'energia. Era così tornato a fare l'avvocato, fondando lo studio associato Lipani, Catricalà and partners. Fino a qualche giorno fa lo si poteva incontrare spesso all'ora di pranzo in qualche trattoria di Vittoria Colonna, in Prati.

«Mi sento un servitore dello Stato - ha detto lasciando Palazzo Spada - abbandono il ruolo ma mantengo l'habitus». Infatti era sempre elegantissimo, di un'affettazione meridionale. Cravatte strette, con il nodo a cappino, una passione per le scarpe che dovevano essere sempre lucide, a specchio, gli occhiali con la montatura dorata. «La cosa che mi fa più arrabbiare è la sciatteria. Non la sopporto né sul lavoro né nei rapporti tra le persone, è una mancanza di rispetto nei confronti degli altri».

Molti contatti e grande prestigio internazionale, lui però non si prendeva sempre sul serio. Alla mano, ironico, gentile con tutti. Sempre pronto alla battuta, dicono quelli ci hanno lavorato insieme. Innamorato della Calabria, dove tornava quando poteva.

«Mi emoziona il mare, le sue sfumature, le onde improvvise, la repentinità con cui cambia nel giro di pochi minuti».

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