TorinoNon c'è pace per Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte. Non passa giorno in cui da un'aula di tribunale o da un ufficio della procura, non arrivi un'accusa o un avviso di garanzia che minano la stabilità della sua giunta, eppure lui non si scompone, guarda e va oltre, e infila la testa tra le nuvole. Così, mentre altri quattro funzionari del Pd si aggiungono ai sei politici già indagati nell'ambito dell'inchiesta sulle presunte firme false a sostegno delle liste che lo appoggiavano alle ultime elezioni regionali, lui pensa a «rinnovare il rapporto di collaborazione» con Massimiliano Fuksas, l'archistar che ha progettato il polo congressuale più grande d'Europa, nel quartiere Eur a Roma, battezzato, appunto Nuvola. Costato fino ad ora 276 milioni di euro, doveva essere inaugurato nel 2010 ma a oggi è ancora incompleto, mentre a Fuksas è stata tolta la direzione artistica.
Evidentemente ai guai del Pd, Chiamparino preferisce l'architettura e - come spiega in una nota ufficiale la sua portavoce - chiede all'archistar un incontro al fine di «rinnovare il rapporto di collaborazione, in modo da portare a termine i lavori del palazzo che dovrebbe riunire tutti gli uffici regionali, nell'ambito del budget definito». Un incontro a dir poco spinoso, per discutere di una struttura galattica, che rischia di diventare la Nuvola torinese, finita sotto la lente della procura di Torino per presunte irregolarità di appalti e subappalti e che ha già prodotto una raffica di avvisi di garanzia che hanno coinvolto sei persone, tra imprenditori, tecnici e funzionari regionali. L'ipotesi degli inquirenti, che procedono per turbativa d'asta e corruzione, è che siano state apportate modifiche al progetto originario per favorire aziende amiche.
E la polemica non ha certo risparmiato lo stesso Fuksas, per la sua onerosa parcella da una ventina di milioni di euro. Ai guai sempre più seri del Pd, Chiamparino preferisce l'architettura, anche se il rischio è quello di fare la fine del suo predecessore, il leghista Roberto Cota, destituito proprio per un'inchiesta sulle firme false raccolte a sostegno delle sue liste. «Il Chiampa» però ostenta sicurezza e viaggia in alto, tra grattacieli e nuvole e tralascia i grattacapi, incurante del fatto che dopo i sei politici finiti sotto inchiesta, adesso tocca ai funzionari del partito di Renzi che proprio oggi era a Torino. L'accusa per loro è quella di concorso nella presunta falsificazione delle firme. Così nel giorno che precede l'udienza del Tar sui ricorsi presentati dalla Lega Nord, si allarga la rosa degli indagati nel centrosinistra e altri avvisi di garanzia sembrano già pronti a partire, visto che è facile ipotizzare che i funzionari Pd non abbiano fatto altro che eseguire delle disposizioni. Secondo l'accusa gli indagati - Gianni Ardissone, Carola Casagrande, Mara Milanesio e Cristina Rolando -, facendo parte della segreteria ed essendo incaricati della raccolta firme e del deposito in tribunale, non potevano non sapere delle irregolarità.
Tremano intanto i vertici del Pd piemontese, che in un comunicato stampa, spiegano di attendere «con serenità l'esito delle indagini della magistratura» ed esprimono «la massima fiducia nell'operato dei dipendenti del partito e di tutti i volontari sostenitori e autenticatori che hanno raccolto le firme nelle scorse elezioni regionali».
Più diretto il senatore Stefano Esposito che su Facebook , in un post condiviso da altri iscritti al partito, chiede che «il segretario e tutta la segreteria politica si assumano la responsabilità politica oggettiva di un pasticcio che non doveva succedere»- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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