Caro direttore Feltri,
sono un cittadino milanese, e non posso restare in silenzio di fronte a ciò che è successo ieri a Udine, e a quanto stiamo vedendo in tantissime città d'Italia. Mentre a Gaza la tregua sembra tenere, gli ostaggi vengono restituiti e un dialogo, per quanto fragile, sembra farsi strada, qui da noi continuano manifestazioni violente contro le forze dell'ordine.
Mi chiedo: che cosa c'entrano i poliziotti con Gaza? Perché si continua ad aggredire chi indossa una divisa? Qual è l'obiettivo reale di questi cortei veicolati come pacifisti, quando ormai non c'è più guerra dichiarata?
Io temo che non sia affatto solidarietà per i palestinesi, ma una violenza politica contro lo Stato. Vorrei sapere cosa ne pensa lei.
Con stima,
Jacopo Bianchi
Caro Jacopo,
la tua preoccupazione è giusta, non si tratta di retorica, ma di realtà. Quello che accade nei cortei non è solidarietà, non è protesta civile: è aggressione contro lo Stato, l'autorità, la legge. È la ribellione che si traveste di idealismo. Permetti che ti dica cosa penso, con chiarezza: gli obiettivi effettivi non sono Gaza né i bambini. Quando la guerra ha trovato un cessate il fuoco, quando gli ostaggi sono stati liberati, quando la tregua ha preso forma, questi cortei non si sono dissolti, anzi, hanno intensificato la violenza. Questa è la testimonianza che il motivo di tali atti non è la sofferenza palestinese, ma la prova di forza politica sul suolo italiano. È uno scontro con lo Stato, non una solidarietà sincera. La polizia è l'anello debole della catena dello Stato. Chi sceglie di colpire gli agenti, i carabinieri, lo fa perché sa che è un modo per delegittimare chi protegge la convivenza civile. È un atto simbolico e concreto: ogni sassata, ogni bastonata, è un affronto diretto all'ordine pubblico. Chi la compie vuole mostrare che può farlo. Questi movimenti non cercano la pace: cercano il caos, cercano l'usurpazione del terreno politico, cercano una distruzione pratica dell'autorità. È violenza ideologica camuffata con il pietismo. Sono questi i nuovi sovversivi, i nuovi terroristi. E poi c'è un'altra questione. Quando un manifestante violento colpisce, spesso le istituzioni gridano alla provocazione, cercano attenuanti, li definiscono «ragazzi», «frustrati». Quando un agente reagisce, scoppia l'indignazione nazionale. Questo doppio standard alimenta la ferocia. Si insegna che coloro che offendono possono farlo, che sia condotta legittima. E così si alimenta la brutalità.
Quindi sì, esiste una violenza crescente, veicolata da chi ha smarrito ogni rispetto della legge. E quella violenza va chiamata per nome: terrorismo urbano, sovversione, assalto allo Stato. La Palestina in tutto questo appare come una scusa, un pretesto, un motivo a caso buttato lì, che si cerca in tutti i modi di tenere in piedi.
Se continuiamo a trattare come manifestazioni contro qualcosa o per qualcosa questi eventi qui, invece che per quello che sono, presto diventeranno a tutti gli effetti quello che già sembrano ai più, o almeno a chi non ha paura di guardare in faccia la verità: un assalto alla democrazia. Direi che qui ci vuole il pugno duro.