Politica

Un chirurgo in lotta tra la vita e la morte nella Siria che non ha pietà per nessuno

Nell'ultimo libro di Giovanni Terzi la guerra vista dalla trincea del Bene

di Giovanni Terzi

Sono nato nel 1959 a Jeboul, in Siria, un villaggio di meno di duemila anime incastrato tra le montagne, fra i monti di Tartus e Latakia e affacciato sul Mediterraneo. Sono il maggiore dei tredici figli avuti dai miei genitori Mari e Antonio. Avere dodici fratelli ed essere il più grande ha sempre determinato dentro di me una consapevolezza diversa nell'affrontare la vita. Ho sempre pensato di dover essere un esempio, un modello, non soltanto per i miei genitori ma soprattutto per i miei fratelli. Non mi consentivo di sbagliare, dovevo sempre essere nel giusto in qualsiasi tipo di scelta: dovevo rappresentare per la mia famiglia quella «giustezza» e affidabilità che mio padre ha sempre personificato. Saggio e affidabile, papà è stato un meraviglio-so esempio: lui che è un generale delle forze armate è per me un gigante di moralità. (...)

Mio padre e mio nonno ci hanno raccontato molte volte cosa significasse essere alauiti, di come soprattutto nel passato l'essere avversati dal mondo sunnita abbia reso addirittura impossibile esprimere il nostro credo. Il riferimento confessionale della nostra famiglia e l'adesione agli alauiti sta anche nella scelta della città in cui abbiamo vissuto: Latakia. Latakia, infatti, è la città dove risiede in Siria il maggior numero di alauiti che hanno spesso dovuto nascondere la fede ricorrendo allo strumento della taqiyya che, tradotto per gli occidentali, significa «paura». La taqiyya indica nella tradizione islamica la possibilità di nascondere la fede, a volte addirittura fingendo di rinnegarla. Si arrivò addirittura a dissimulare e a non praticare i riti religiosi previsti per paura di essere colpiti, uccisi e perseguitati dai sunniti. Gli alauiti credono in un sistema di incarnazione divina e in una lettura esoterica del Corano. Contrariamente agli ismailiti però, gli alauiti considerano Alì come una manifestazione della divinità, che è simbolizzata attraverso una sorte di triade divina, Alì è il «Significato»; Maometto, che Alì creò con la sua luce, è il «Nome»; e Salman al-Farisi è il «Cancello». Nel catechismo ci rivolgiamo a Maometto con queste parole: «Mi rivolgo al Cancello; mi inchino al Nome; adoro il Significato». É proprio la divinazzione di Alì a renderli «eretici» agli occhi dei sunniti (...)

Essere alauiti significa vivere nella paura perché da una parte i musulmani sunniti spesso ci considerano infedeli e traditori, ma dall'altra parte l'Occidente ci inserisce superficialmente in una religione senza porre i distinguo storici ed ideologici necessari. Spesso penso alla deformazione e alla superficialità dell'informazione che fa di tutta un'erba un fascio banalizzando e non andando a fondo delle cose. (...)

Al-Jawlani, il leader di al-Nusra, ha dichiarato che: «Noi siamo qui per compiere una sola missione: combattere contro il regime e i suoi agenti sul territorio, compresi Hezbollah e gli altri». Guerre sostenute da motivazioni religiose che mi fanno paragonare un certo Islam alla religione Cristiana nel medioevo e al tempo delle crociate. È comunque da riconoscere che le motivazioni religiose spesso sono semplicemente utili per generare propaganda ma, quasi sempre, dietro ad ogni guerra si muovono soltanto interessi economici e di potere. Non esiste mai una guerra giusta. Non si può mai uccidere qualcuno per motivi religiosi.

La vita umana è sacra.

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