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"Chiusi a metà, non basta". La Lombardia guida il fronte contro il decreto di Conte

Fontana: stop alle attività non essenziali. Governo in difficoltà sul testo con le misure economiche

"Chiusi a metà, non basta". La Lombardia guida il fronte contro il decreto di Conte

Milano - Fare di più, chiudere di più. Il governo è timido ma il centrodestra lo incalza sulla linea del rigore, sostenendo le richieste della Regione Lombardia, che vuole rallentare ancora la vita sociale, e con essa il contagio, giunto ormai a proporzioni pandemiche sempre più impressionanti.

Il clima di unità nazionale sembra tramontato. La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, ieri, ha dichiarato che le misure adottate con decreto dal presidente del Consiglio sono solo «una modesta estensione» di quelle già approvate. «Forse non c'era bisogno di andare in tv ad annunciare misure epocali» ha sentenziato.

Il governo lavora anche al provvedimento da portare oggi in consiglio dei ministri, anche se già si parla di un possibile slittamento: nella dote da 12-15 miliardi sarebbero previsti bonus da 600 a 1.000 euro per le baby-sitter, congedi famigliari fino a 15 giorni, fondi per la sanità militare e risorse per apparecchiature e mascherine. «Ma qualcuno a Palazzo Chigi si è posto il problema che lunedì prossimo scadono Iva, ritenute d'acconto, F24?», si chiede l'azzurra Mariastella Gelmini.

Intanto anche il leader leghista, l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini ha avvertito che servono «misure più restrittive», suscitando la reazione piccata del ministro Francesco Boccia: «Fosse stato per Salvini il 27 febbraio dovevamo tenere tutto aperto». Ma il centrodestra è in sintonia con la Regione. E nell'ora più buia per il Paese, il mantra della proverbiale fattività lombarda si traduce in una richiesta sempre più pressante: «Si poteva fare di più» dice il governatore Attilio Fontana commentando gli atti romani. La Regione vuole fermare tutto ciò che non è «essenziale», tutto ciò che non sia sanità, energia, farmaceutica, agroalimentare, informazione. Per esempio gli uffici, e poi i mercati e le attività artigianali non legati a filiere essenziali. E ancora, vuole limitare fortemente i trasporti, riducendo del 50% il servizio urbano e dell'80% quello extraurbano, tenendo poi conto di esigenze e filiere locali. E, infine, vuole mantenere dentro margini molto stringenti tutte le attività produttive che non si possono o non si vogliono bloccare. «Fermare tutto tranne servizi pubblici essenziali e produzione relativa a servizi essenziali. Modello Codogno» sintetizza Pietro Foroni, lodigiano e assessore alla Protezione civile.

Non si può certo dire che la Regione sia insensibile alle esigenze del mondo imprenditoriale e non si può pensare che non gli sia stato prospettato il prezzo di una ulteriore falciata alle attività produttive. Ma i dati e le previsioni sono davvero molto preoccupanti. La Lombardia fin dall'inizio ha scommesso su trasparenza e misure drastiche, e quindi sulla possibilità di essere all'avanguardia nella lotta al virus, anche in Europa. Dalla sua parte ha i sindaci dei Comuni capoluogo, anche di centrosinistra. Come Beppe Sala, primo cittadino di Milano, che dopo aver maldestramente provato a dare voce alla (prematura) smania di ripresa, si è allineato di buon grado all'andazzo. E come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd).

Confindustria frena, Assolombarda frena, si cercano compromessi, e il governo non è disposto a intervenire seguendo

reazioni «emotive». Ma la Regione si «accontenta» anche di interventi interpretativi od ordinanze. Pensa a un «vestito su misura», ritagliato sulla base delle esigenze locali, produttive e sanitarie. E continua a spingere.

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