Lupi dei boschi. E lupi della politica. C'è un retroscena interessante dietro alla polemica sorta intorno al «pericolo lupi» tra il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, e quello dell'Ambiente, Sergio Costa. La storia ha come scenario di riferimento principale il Trentino (ma il problema riguarda anche la Val d'Aosta) e la presenza, che si è fatta più ingombrante negli ultimi anni, del lupo. Il grande carnivoro che negli anni '70 era quasi estinto è infatti tornato, e anche se non ci sono attacchi documentati contro l'uomo da circa un secolo e mezzo, sono soprattutto gli allevatori a lamentarsi del prepotente ritorno, che viene pagato caro in termini di capi abbattuti. Negli ultimi giorni Salvini ha sposato la causa degli allevatori, e ieri ha spedito una circolare ai prefetti di Trento e Bolzano, spiegando di valutare, come extrema ratio, anche l'abbattimento qualora - e solo se - sia a rischio la pubblica incolumità. Quanto basta a far esultare il proprio elettorato, e pure il presidente della provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, anche lui del Carroccio. Costa, invece, aveva da pochi giorni presentato il suo piano per la conservazione e gestione del lupo, che tra le tante azioni non prevede, mai, le uccisioni. «Non servono», aveva tagliato corto il ministro di area pentastellata, strizzando l'occhio al suo elettorato, che ha a cuore i temi ambientali.
La verità è che il piano di Costa non è una rivoluzione. E non lo è nemmeno il presunto «si spari» di Salvini. E tutto, quanto alla convinvenza uomo-lupo, va come sempre è andato. I lupi erano e restano protetti. Come pure i rispettivi elettorati.
Quello del Carroccio rassicurato dal decisionismo del titolare del Viminale, che tanto è destinato a restare sulla carta, e quello a Cinque stelle blandito dal ministro dell'Ambiente che ribadisce l'importanza del lupo. In fondo entrambi vogliono le stesse cose. Che il canis lupus italicus prosperi, sì, ma alla larga dall'uomo e minimizzando l'impatto sulle sue attività.MMO