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La City incorona Draghi: "Ora l'Italia scapestrata modello per l'Europa"

Il Financial Times non risparmia sulle lodi: perfino il maxi debito pare non spaventi più

La City incorona Draghi: "Ora l'Italia scapestrata modello per l'Europa"

Si scrive, in inglese, «delinquent», si traduce in modo un po' grossier in «criminale», ma meglio sarebbe usare il termine «insolvente», quello che nella vulgata ricorrente più si attagliava all'Italia a causa dell'insostenibile pesantezza del suo debito. Ora, non più. Adesso, per dirla con il Financial Times, s'è completata la metamorfosi, il traghettamento di un Paese impastoiato nelle sabbie mobili verso le sponde dell'affidabilità: «Delinquent' Italy turns into model European». «Da insolvente a modello». Per l'intera Europa. Tutto in soli tre mesi, cioè da quando Mario Draghi è salito sulla plancia di comando.

Anche per il serioso foglio della City il rischio dell'agiografia è in agguato dietro ogni virgola, ma l'aggettivazione è tenuta sotto controllo e a parlare sono i fatti. L'FT ne cita due, a marcare il cambio di passo rispetto ai governi precedenti: il blocco d'imperio all'esportazione dei vaccini oltre i confini dell'Unione europea e la definizione tranchant, saldata a una dose di realpolitik, del «dittatore» turco Erdogan. Ma l'analisi approfondisce soprattutto un aspetto della gestione dell'ex presidente della Bce: la capacità di ricucire la trama delle alleanze per arrivare a un obiettivo comune. Eliminando così quell'aura negativa, da paria d'Europa, che il Paese non riusciva a scrollarsi di dosso da un paio d'anni, da quando «un furioso Emmanuel Macron aveva richiamato il suo ambasciatore a Roma» dopo l'incontro tra Di Maio e alcuni esponenti dei gilet gialli e a causa delle intemerate via social di Matteo Salvini contro Bruxelles. Ricorda ancora l'FT: «Dietro le quinte i diplomatici italiani si sono trovati sempre più isolati, il loro governo visto da molti come un partner instabile e inaffidabile guidato da politici che volevano indebolire l'Ue, e flirtare con Mosca e Pechino». Se Draghi aveva già con Angela Merkel un canale privilegiato aperto fin da tempi della reggenza dell'Eurotower (una sponda decisiva per rintuzzare gli attacchi della Bundesbank alle politiche di allentamento quantitativo), ora ha trovato la sintonia anche con l'Eliseo, pronto a sostenere la decisione di stoppare l'export di vaccini nei Paesi extra-europei. «Non solo la voce di Roma viene ascoltata forte e chiara a Parigi e Berlino - scrive il quotidiano - , ma sta sempre più fissando l'agenda mentre l'Ue tenta di uscire dalla pandemia Covid-19». Non impossibile, del resto, vista la malaccorta gestione mostrata da Bruxelles nell'acquisto dei vaccini, che una voce ferma come quella di Draghi trovi ascolto. Nulla di sorprendente. Non vi è infatti alcuno iato fra il banchiere centrale che capeggiava l'Eurotower e il nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Il modus operandi è lo stesso: più che il divide et impera, lui cerca un consenso ampio per perseguire obiettivi comuni e tacitare le voci minoritarie, considerate d'intralcio.

È ciò che ha poi permesso all'Italia, fin dai tempi del quantitative easing, di essere sempre meno percepita come una possibile candidata alla bancarotta. Sbaglia quindi il Financial Times quando ricorda che, nonostante il disavanzo-monstre accumulato per far fronte all'emergenza Covid (peraltro, dopo anni di avanzi primari, cioè di surplus di cassa al netto degli interessi), i mercati finanziari «spesso preoccupati per l'entità del debito pubblico italiano, restano indifferenti, segno di fiducia nel nuovo premier. In realtà, Draghi è considerato sì come un ulteriore elemento di garanzia, ma la calma degli investitori deriva soprattutto dalla rete di sicurezza stesa dalla Bce, nonostante la gaffe iniziale di Christine Lagarde, con robusti acquisti dei nostri bond sovrani. È questo il timone che tiene a bada possibili derive dello spread. Ma ciò accade ormai da anni. Piuttosto, è opportuno chiedersi cosa succederà quando l'istituto di Francoforte comincerà a tirare i remi in barca, riducendo gradualmente gli aiuti; e cosa potrebbe capitare dopo il ripristino del Patto di stabilità. Se a Draghi si vogliono proprio attribuire doti miracolistiche, quelle vanno ricercate nel «whatever it takes» del luglio 2012, la frase che salvò non solo l'Italia, ma l'intera Europa.

Ma per ora, dopo solo tre mesi di governo, basta un «bene, bravo, 7+».

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