Piccole imprenditori soffocati dalle tasse. Se non si corre ai ripari nel 2018 la pressione fiscale media sulla piccola impresa italiana salirà ancora raggiungendo costi insostenibili. È il grido d'allarme lanciato dalla Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa, Cna, nella relazione annuale sul fisco: «Comune che vai, fisco che trovi». Il rapporto analizza l'andamento della «Total tax rate», Ttr, ovvero il totale delle imposte che pesa sulle imprese artigiane prendendo in considerazione 137 comuni italiani.
La Cna calcola che la pressione fiscale sulle Pmi, salita nel 2017 al 61,2 per cento, nel 2018 crescerà ulteriormente fino al 61,4. Questo significa che le imprese lavoreranno dal 1 gennaio fino all'11 agosto soltanto per pagare le tasse. Insomma un giorno in più rispetto al 2017 immolato al fisco. Ma qual è il comune che tartassa di più i propri contribuenti? Sul podio c'è Reggio Calabria che vanta un tasso totale salito al 73,4 per cento con un più 0,2 rispetto allo scorso anno. Con la somma di Irap, Irpef con addizionali regionale e comunale, Imu, Tasi, Tari e contributi previdenziali dovuti alla cassa artigiani all'imprenditore resterà in tutto il 26 per cento del reddito che sarà riuscito a produrre.
Nella classifica dei comuni «vampiro» troviamo Bologna, 72,2; Roma e Firenze, 69,5; Catania, 69; Bari, 68,5; Napoli 68,2; Cremona e Salerno 67,3; Foggia 66,8. Ma c'è un luogo dove si lavora un po' di più per se stessi? Sì, Gorizia dove il totale del peso complessivamente esercitato dal fisco incide «soltanto» per il 53,8. Bene anche Udine, 54,5; Imola 54,9; Cuneo, Trento e Belluno, 55; Sondrio, 55,3; Carbonia 55,8; Arezzo 56,1; Mantova 56,2. Dunque a Gorizia dal 14 luglio si lavora per guadagnare mentre a Reggio Calabria occorre aspettare il 24 settembre.
Il futuro prossimo dunque appare sempre più incerto anche perché alla prospettiva di tributi sempre più pesanti si aggiungono le conseguenze dei provvedimenti del governo giallo-verde che destano grande preoccupazione tra le imprese. Il decreto dignità prima di tutto che, osserva il presidente della Cna, Daniele Vaccarino, «contiene un errore di fondo» perché non è vero che «il contratto a tempo determinato creai precarietà». Bocciata anche la mancata ratifica dell'accordo di libero scambio con il Canada, il Ceta, come annunciato dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Un disastro per le piccole imprese che rappresentano la spina dorsale dell'economia italiana e danno lavoro a circa 4 milioni di persone.
Per la Cna possono essere messe in campo misure per lasciare un po' più di fiato alle imprese. La flat tax ad esempio. «Ogni iniziativa che vada nella direzione di una riduzione della pressione fiscale ci trova d'accordo», dice Vaccarino. Tra le ipotesi in campo anche l'aumento della franchigia Irap dagli attuali 13.000 euro a 30.000 euro con una conseguente riduzione della pressione fiscale di 1,4 punti percentuali.
La Cna guarda soprattutto alla possibilità di introdurre la totale deducibilità dell'Imu sui beni strumentali delle imprese: capannoni, laboratori, negozi. In questo caso il Ttr crollerebbe al 57,4 ovvero quattro punti percentuali in meno rispetto al Ttr previsto dal Cna per il 2018.
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