Il tonfo alle amministrative. E l'eterna guerra per la leadership: Matteo Salvini contro Giorgia Meloni e lei che ha messo la freccia in corsia di sorpasso.
Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Government, storico, volto della tv, non fa sconti al centrodestra: «Questa battaglia per il comando sta avvelenando la coalizione. Che rischia di perdere per strada molti voti, in vista delle elezioni del maggio 2023».
Appunto: come stabilire chi sarà il candidato premier l'anno prossimo?
«Finora si è detto che correrà chi avrà ricevuto più voti».
E il metodo non va bene?
«È un metodo grossolano, che innesca una rincorsa infernale, fra sgambetti, ripicche e tradimenti».
In effetti, come si è visto prima a Milano, Roma e poi a Verona, Parma e in altre città, i litigi hanno prevalso sulle ragioni dell'unità. E le sconfitte si susseguono.
«Certo e per questo, se vuole vincere, il centrodestra deve cambiare prospettiva».
Ma come?
«Non deve partire dai numeri, ma dalle cose».
In sostanza?
«Che idea del Paese ha, se ce l'ha, la coalizione?».
Fratelli d'Italia, la Lega e Forza Italia hanno più volte messo i loro paletti su tanti temi.
«Questo è vero, ma manca un'idea unificante. Servono quei quattro o cinque punti, non cento, che caratterizzino non i singoli partiti, ma la coalizione. Le tavole della legge del centrodestra: in politica estera, qual è la linea? Siamo saldamente legati alla Nato o sbandiamo verso Mosca? Sulle tasse...».
Sono tutti d'accordo nel tagliarle.
«Sì, ma qual è la priorità? Il cuneo fiscale? Altro? E se è il cuneo come ripartire i soldi a disposizione?».
Oggi questa chiarezza non c'è. Come si può rimediare?
«Ragionando sui contenuti ed elaborando una piattaforma comune. Ad esempio, mobilitando le fondazioni d'area. È da qui che bisogna partire perché è questo che interessa alla gente. Oggi i partiti del centrodestra vanno in ordine sparso, spesso entrano in competizione e se dicono la stessa cosa pare quasi un caso».
A sinistra non va così?
«Il cosiddetto campo largo è un campo di battaglia, però in quell'alleanza c'è un partito egemone, il Pd, e quel partito bene o male le sue scelte le ha fatte. A destra tutto appare più che fluido e anche pasticciato. Ma non è con i pasticci che si può pensare di governare, Salvini, Meloni e Berlusconi devono arrivare all'appuntamento decisivo con un'idea di Paese, una squadra, i possibili ministri, le scelte strategiche in tasca. Invece temo una replica delle amministrative: la guerra fra Sboarina e Tosi a Verona o quel che è accaduto con Michetti a Roma. Anche con lui torna la stessa domanda: che idea di Roma voleva venderci, il mancato sindaco? O dobbiamo pensare che ce la si possa cavare con qualche battuta ad effetto?».
Le primarie di coalizione?
«Non sono nel dna dell'elettorato moderato, anzi hanno perso appeal anche a sinistra. Piuttosto gli elettori si aspettano una sintesi efficace. Credibile. Ancorata alla realtà».
Moderata?
«Mettere insieme diversi soggetti porta quasi fatalmente a sposare posizioni moderate. Tuttavia non mi pare che il problema sia quanto ci si colloca vicini al centro o vicini alla destra. Il problema è quanto le soluzioni siano plausibili. Sull'Europa, ad esempio: posizioni che rappresentino una credibile base negoziale coi partner europei, non scelte ideologiche e identitarie».
Insomma, ci vuole un programma che non
allarmi Bruxelles, la Commissione e la Bce?«Un programma che entri in dialogo con loro, non si metta in contrapposizione frontale. Realisticamente, non ce lo possiamo permettere. Poi si penserà alla premiership».
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