Caos in Senato anche ieri sul nuovo codice Antimafia. Il Pd voleva approvarlo martedì, ma il voto finale slitta ancora: è previsto stamattina e sarà palese. Mentre i dubbi aumentano, anche nella maggioranza e Ap si sfila, dopo le critiche degli esperti, a cominciare da Raffaele Cantone.
Si allarga dunque il fronte dei contrari, guidato da Forza Italia, con la Federazione delle libertà di Quagliariello, Lega e Ala. Le perplessità sono anche tra molti dem e Ap lascia libertà di voto. Probabilmente si spaccherà, ma la sorte del ddl dipenderà molto dalla posizione del M5s che, seppur critico sul codice, non ha una linea certa.
L'esame del provvedimento viene sospeso due volte in mattinata dal presidente Pietro Grasso, dopo che il numero uno della commissione Bilancio Giorgio Tonini appoggia la richiesta del senatore di Fi Antonio Azzollini di nuove verifiche sulla copertura economica. «C'è stato un nostro errore», ammette il dem. Ma ci vuole il chiarimento del viceministro Enrico Morando, un parere tecnico e la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato sulla correzione apportata dal governo, prima di arrivare al via libera sull'ultimo emendamento: 163 sì, 64 no e 5 astenuti. Nel testo del ddl si specifica che la copertura è di 7 milioni di euro nel 2018 e 2019 e di 6 per il 2020. Una cosa è certa: qualsiasi cosa esca dal Senato, il nuovo codice Antimafia sarà profondamente modificato in terza lettura alla Camera, come aveva assicurato due giorni fa lo stesso presidente del Pd Matteo Orfini.
Le divisioni nella maggioranza si fanno sentire. Pier Ferdinando Casini annuncia che non parteciperà, facendo abbassare il quorum. E lo stesso leader di Ncd, il ministro degli Esteri Angelino Alfano, spiega che alla Camera il suo gruppo chiederà «robusti cambiamenti al testo», perché bisogna ascoltare le «autorevolissime e perplesse opinioni dei tanti operatori del diritto che si sono espressi in questi giorni».
Si riferisce, in particolare, alle aspre critiche del presidente dell'Autorità anticorruzione Cantone, oltre che di magistrati e penalisti, del numero uno di Confindustria Boccia, di costituzionalisti come Sabino Cassese, di un padre nobile della sinistra come Luciano Violante. Cui proprio ieri si sono unite altre importanti voci. «Condivido pienamente i rilievi e le osservazioni del presidente dell'Anac Cantone in merito alla riforma del codice Antimafia», dice il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio. E la stessa opinione la esprime l'avvocato generale della Suprema Corte, Nello Rossi.
Diversi stop and go, dunque, rallentano l'iter della riforma. La norma più controversa è quella che prevede il sequestro preventivo dei beni anche per i corrotti, di fatto un'estensione delle regole dell'Antimafia, che abbassano le garanzie in nome dell'eccezionale gravità del fenomeno, anche ai reati contro la pubblica amministrazione. Il superprocuratore Antimafia Franco Roberti aveva proposto di prevedere l'associazione per delinquere come condizione per l'applicazione delle misure di prevenzione, ma Cantone e gli altri si sono messi di traverso.
Inascoltati gli appelli della presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, secondo la quale la riforma «è da approvare subito, perché il suo obiettivo è utilizzare 25 miliardi di beni sequestrati, dando sviluppo e lavoro, e un grande dolore alle mafie che soffrono per i piccioli, i soldi confiscati, soprattutto se poi producono denaro buono».
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