Coronavirus

Colao e i sei consigli Oms, Test, app, fuori a scaglioni. La distanza vale per tutti

Prima riunione della task force che studia la ripartenza. Gli anziani a casa più a lungo

Colao e i sei consigli Oms, Test, app, fuori a scaglioni. La distanza vale per tutti

Un conto è gestire emozioni, altra cosa è valutare i dati. E trasformarli in un programma per un Paese smarrito che non conosce più la parola domani. Si deve ripartire al più presto in una situazione complicata e scivolosa perché la fase 2, la famosa ripartenza, dovrà convivere, almeno per un po' con la coda se non con i colpi di coda della fase 1, l'emergenza zeppa di ricoveri e lutti.

Così i 17 esperti, guidati dal supermanager Vittorio Colao, si riuniscono per la prima volta al capezzale del malato Italia con un compito arduo: trovare un equilibrio, sia pure provvisorio, fra un Paese che non può ancora voltare pagina - a differenza di altri Stati europei più disinvolti nel riaccendere le luci - ma prova comunque a girare la chiavetta. Colao e i suoi partner pensano a un Paese che dovrà abituarsi, almeno per un certo periodo, a considerare rischi e precauzioni di ogni possibile mossa. Il punto fondamentale è dunque quello di prevedere delle griglie che, incrociate fra di loro, permettano un ritorno graduale alla quasi normalità.

Molte le idee e gli spunti: si lavora anzitutto per far decollare in tutta Italia i test sierologici, i soli in grado di garantire la ormai mitica patente di immunità. Con quel documento impugnato come uno scudo invalicabile, il lavoratore può rientrare ragionevolmente nel circuito produttivo. Ma la patente va comunque interpretata tenendo conto dell'età anagrafica: chi ha 30-40 anni potrebbe sedersi prima davanti alla scrivania o in fabbrica, chi ha passato i settanta sarà invitato, questa è la possibile soluzione a tappe, a rimanere di più in casa. Contemporaneamente si studia una app per monitorare i movimenti dei cittadini e di dialogare con loro: ognuno potrebbe registrarsi e controllare la propria situazione.

La digitalizzazione a tappe forzate avrebbe nell'immediato un risultato pratico non da poco: mandare in soffitta tutte le autocertificazioni cartacee con i loro complicati modelli cambiati e ricambiati dal governo, incerto se non balbettante in un caos di prescrizioni e rendicontazioni. L'Italia digitale si avvia, almeno nelle intenzioni, a prendere il posto di quella dei moduli, con relativi trucchi, escamotage e sceneggiate al momento dei controlli.

Insomma, si punta a mappare, nei limiti del possibile e della tutela della privacy, gli italiani alzando il livello di protezione per i più fragili ma fornendo anche gli strumenti per ritornare in ufficio a chi non ha più ragione di temere il virus. E qui lo sforzo dei saggi si concentra su un altro passaggio già iniziato in queste drammatiche settimane, sia pure in modo empirico: lo smart working, una delle formule chiave di questa pandemia. Rimarrà, anche se magari ridimensionato, e porterà nel tempo a una rivoluzione culturale e sociale che oggi è difficile immaginare. Basti pensare alle ricadute sulla mobilità, vero tallone d'Achille delle società dopo la tempesta di questi mesi. Chi si connette dal salotto non affolla le fermate dei bus e dei metrò: uno snodo decisivo, da incentivare in tutti i modi. Assieme naturalmente alle regole base per negozi uffici e fabbriche: distanze di sicurezza, ingressi scaglionati, turni differenziati, ripensamento degli spazi comuni.

È questo il capitolo delle misure preventive, necessarie anche per affrontare il prossimo anno scolastico, e inserite dall'Organizzazione mondiale della sanità in una sorta di vademecum in sei punti per allentare il lockdown. Per l'Oms bisogna disegnare scenari realistici e educare i cittadini a misurarsi con una realtà così complessa e impegnativa, di più a gestire il pericolo sempre presente di nuovi contagi e quello dell'importazione del contagio da fuori. Nessun Paese, se questo può consolarci, è in questo momento all'altezza della sfida.

Anche sull'ultimo versante sottolineato dall'Oms: la necessità di «ridurre al minimo il rischio di epidemia in contesti speciali come le case di cura e gli ospedali».

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