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Colle, corsa fuori controllo: è scontro sulla Belloni. Draghi amaro: "Rispetterò le decisioni del Parlamento"

Il capo dei Servizi finisce nel tritacarne e diventa un nome divisivo. Berlusconi scarica Salvini e guarda al bis. Lega spaccata su Casini

Colle, corsa fuori controllo: è scontro sulla Belloni. Draghi amaro: "Rispetterò le decisioni del Parlamento"

La maionese impazzisce poco dopo pranzo, quando lo schianto annunciato della Casellati viene certificato dai soli 382 voti incassati dalla presidente del Senato durante il quinto scrutinio. Ben 71 in meno del numero dei grandi elettori di centrodestra, una vera e propria débâcle. D'altra parte, in mattinata, in un Transatlantico affollatissimo non c'è un solo parlamentare - e parliamo di quelli ottimisti - che la quoti oltre la soglia dei 400. Si chiude così un copione già scritto. E si archivia l'equivoco secondo cui l'asse Lega-Fi-Fdi avrebbe avuto la forza di eleggere in autonomia un capo dello Stato. Il tutto, non senza danni collaterali, perché appena si concluderà la partita per il Quirinale, Pd e M5s sono decisi a chiedere conto alla Casellati della sua decisione di scendere in campo e, di fatto, spogliarsi dei panni dell'arbitro.


Finalmente, dunque, si apre la trattativa. E - come nel celebre Giorno della marmotta - si ricomincia dall'inizio, con le rose contrapposte tra centrodestra e centrosinistra. Il tutto mentre a sera alla Camera va in scena lo scrutino della sesta votazione, con Mattarella che porta a casa 336 preferenze pur non essendo candidato e - soprattutto - avendo più volte ripetuto di non volerlo essere. Solo un dettaglio, almeno secondo un big leghista del Nord. Che si concede un paragone cinematografico: «Mattarella? È come il vecchio di Squid Game, sembra impotente e indifeso ma sarà lui il punto di caduta di questa partita».
Prima si vedono i leader del centrodestra, con tanto di processo a Forza Italia, perché i voti alla Casellati sono mancati soprattutto tra gli azzurri. Poi si siedono finalmente a un tavolo Salvini, Letta e Conte. Che restringono - si fa per dire - la rosa a Draghi, Casini, Amato, Belloni, Cartabia e, ovviamente, lo stesso Mattarella. A parte l'inedita new entry del capo dei servizi segreti, sono gli stessi nomi che i giornali danno in corsa ormai da settembre.


La verità, però, è che si fatica a trovare un punto di caduta. Perché tutti i candidati sono oggetto di veti incrociati, a volte all'interno dello stesso partito. Basti pensare a Casini, gradito a un pezzo corposo del centrosinistra e sul quale Berlusconi avrebbe dato la sua disponibilità. Salvini qualche giorno fa sembrava essersi convinto, salvo poi andare a impattare contro la durissima presa di posizione di Giorgetti e dei governatori del Nord. Così netta, che il leader della Lega ha iniziato a temere di non reggere l'impatto. E ha ritirato la sua disponibilità, già comunicata al Cav.


Così, con il passare delle ore, la giornata si sviluppa su binari piuttosto inusuali. Quelli di un premier che lascia Palazzo Chigi per quattro ore e - lontano dai riflettori - si dedica a una serie di incontri che hanno ad oggetto proprio la partita quirinalizia, di cui - come è noto - è uno dei principali attori. Draghi vede certamente Salvini - ed è dalla Lega che filtra la notizia - e Letta. Il faccia a faccia, ovviamente, mette il Palazzo in agitazione. Perché se Salvini togliesse il veto dall'ex Bce - come gli chiedono Giorgetti e i governatori del Nord e come auspica Meloni che, nonostante tutto, ha un ottimo feeling con il premier - la partita si chiuderebbe in un attimo. In verità, sembra che l'incontro tra i due non sia andato granché bene. Chi ha occasione di sentire Draghi, infatti, non lo racconta di buon umore. Anche se dopo cinque giorni in cui il Parlamento preferisce confrontarsi sul nulla piuttosto che votarlo, la delusione sarebbe unita alla consapevolezza del ruolo. «Mi atterrò alle decisioni del Parlamento», ha detto due giorni fa a Tajani durante il loro faccia a faccia. Lasciando intendere che, comunque vada, non è intenzionato a strappi. Anche se con una postilla: «A meno che qualcuno non faccia mosse che cambiano lo scenario». Perché è ovvio che se dopo il voto sul Colle dovesse cambiare la maggioranza, Draghi si sentirebbe libero.


E in questo scenario di caos, l'ultimo atto è lo scontro sulla Belloni. Lanciata a favore di telecamere prima da Salvini e poi da Conte, che auspicano «un presidente donna». Un tandem che fa pensare ci sia un intesa sul nome del capo del Dis. Che però diventa presto elemento di scontro. Si sgancia Renzi e prende le distanze Leu. Durissimo Berlusconi con Salvini: «Ora tratto io, Matteo non parla più per Forza Italia». Il Cav non vede di buon occhio due tecnici a Palazzo Chigi e Quirinale. E pensa al Mattarella bis.


D'altra parte, il capo dei servizi segreti che trasloca al Quirinale non è cosa da democrazia occidentale. Nonostante il profilo di altissimo livello e un curriculum ineccepibile, il problema - magari più formale che sostanziale - è gigantesco. Con buona pace di Grillo, che si spende a favore della Belloni.


I dubbi, certamente condizionati anche dalle ambizioni personali, sono gli stessi di Draghi. Che non ne fa mistero con Salvini durante il loro faccia a faccia. E che anche a Letta spiega di essere «stupito» da una convergenza che non si aspettava. Il segretario dem ribatte che non poteva sottrarsi «a un nome autorevole e per giunta di una donna». Una spiegazione che lascia quasi senza parole l'ex Bce.

Perché la sensazione è che i partiti della sua maggioranza siano pronti a tutto - persino a spaccarsi sul nome del capo del Dis - pur di non sostenere la sua corsa al Quirinale.

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