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"Colle informato di quel dossier". L'ex Mani pulite irrita Mattarella

Davigo: chi di dovere sapeva. Per il Quirinale non vale nemmeno la pena di smentire: che il capo dello Stato possa intervenire su inchieste aperte è impensabile. Ermini: "Csm estraneo"

"Colle informato di quel dossier". L'ex Mani pulite irrita Mattarella

Roma. Davigo chi? Quanto all'Ungheria, certo, è un paese amico, un partner europeo. Per il resto c'è un gran fermento, come tutti i giorni, all'ufficio posta del Quirinale. Plichi, lettere, bigliettini, post-it, cartoline, anche scatole e pacchi, niente però da parte di Piercamillo Davigo o da altri; né, dall'ex membro del Csm, sono arrivate telefonate o segnalazioni o spifferi informali sul caso Amara-verbali segreti- loggia Ungheria. Insomma, «non risultano contatti». Risulta invece una forte irritazione per il tentativo di coinvolgere il presidente, di buttarla in caciara, di cercare di scampare alla bufera mettendosi al riparo sotto l'ombrello del Colle.

Sergio Mattarella si tiene talmente lontano da questa storia che ha deciso che non vale nemmeno la pena di smentire. In queste ore è a Palermo e, ricordando il 39simo anniversario dell'uccisione mafiosa di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, risponde a modo suo, parlando di «impegno civico, coscienza pubblica e senso dello Stato». La chiave per un mondo migliore secondo lui è la formazione degli studenti. «Vanno incoraggiate in ogni modo le iniziative volte a diffondere la cultura della legalità per costruire una collettività futura che sia libera da ogni forma di condizionamento».

Quanto più distante dalle manovre e dai veleni che si propagano nel demi-monde che gira attorno alla magistratura. Indagini, corvi, nuove P2, politici coinvolti, dossier spediti ai giornali, atti giudiziari segreti resi pubblici, patacche, mezze verità, le «rivelazioni» progressive di un ex avvocato dell'Eni, depistaggi, scontri interni al consiglio superiore e negli uffici giudiziari. Un pm di Milano, Paolo Storari, preoccupato a suo dire per l'inerzia dei suoi capi, che smista il faldone a Davigo, allora ancora al Csm, e Davigo che sostiene di aver riferito tutto al Quirinale.

Ma come, non erano atti riservati? Ma davvero, dopo il caso Palamara, funziona ancora così? Con i fuori sacco, le chiamate in causa, il gioco di sponda con i quotidiani amici, le allusioni? «Nulla di irrituale è stato commesso - si difende adesso l'ex leader di Autonomia e Indipendenza - Ho informato chi di dovere, di che cosa dovrei pentirmi?». Peccato che «a chi dovere» non risulti.

E ora sul Colle ci si chiede che cosa ci sia dietro la manovra, quale sia la regia. Tirare in ballo il presidente? Mischiare le acque? Farsi scudo mettendo in campo il Quirinale? Sottintendere che Mattarella sapeva della loggia Ungheria o dei problemi dell'inchiesta e non è intervenuto? Il tutto peraltro avviene dopo le ferite aperte dal caso Palamara, mentre l'Italia affronta la pandemia e la crisi economica. Comunque sia, il tentativo di coinvolgere il capo dello Stato sembra destinato a spegnersi sul nascere. Non c'è niente, «il problema non si pone neanche», non serve nemmeno una precisazione ufficiale.

E poi, si ragiona per ipotesi, se anche il contatto ci fosse stato, se pure fosse stato informato, che cosa avrebbe potuto o dovuto fare? Mattarella, come scrive la Costituzione, e sì il vertice della magistratura e il presidente del Csm, il suo però non è certo un ruolo operativo. Non è pensabile che il capo dello Stato metta bocca su inchieste aperte: non gli compete, sarebbe un sconfinamento grave dai confini delle sue prerogative. Perciò il Quirinale tace e lascia che a replicare sia chi è deputato, cioè Davide Ermini, vicepresidente dell'organo di autogoverno.

«Il Consiglio superiore non solo è del tutto estraneo a manovre opache e destabilizzanti, ma è semmai l'obbiettivo di un'opera di delegittimazione e condizionamento, in questo momento particolarmente grave per il Paese, teso ad alimentare la sfiducia dei cittadini nei confronti della magistratura».

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