"Al Colle? No, a sciare". Renzi sfida gli inciucisti e diserta la direzione

Raffica di dimissioni dagli organismi di partito: via la Serracchiani. Martina ci pensa

"Al Colle? No, a sciare". Renzi sfida gli inciucisti e diserta la direzione

«Le mie dimissioni sono vere, la notizia che vado in settimana bianca è falsa». Matteo Renzi non demorde dalla linea espressa a gran voce nella conferenza stampa di lunedì: «Il Pd starà all'opposizione, punto». E gioca come un gatto col topo con un partito in subbuglio, nel quale è partita la corsa a smarcarsi dal leader dopo la epocale sconfitta elettorale. In mattinata lancia una battuta («Altro che andare in delegazione al Quirinale, io me ne vado a sciare»), poi la smentisce via Facebook, ma rilancia le accuse ai presunti «inciucisti» che nel suo partito sarebbero pronti a trattare per un governo: «Chi vuole portare il Pd a sostenere le destre o i Cinque Stelle lo dica, per me sarebbe un tragico e clamoroso errore. Facciano loro un governo, se ci riescono, noi staremo fuori».

Ieri mattina il segretario Pd è partito per Firenze, ripetendo: «Mi sono fatto da parte», e i suoi fanno circolare la voce che - addirittura - potrebbe non partecipare neppure alla Direzione convocata per lunedì. Appuntamento cruciale per decidere quale sarà la linea e anche la guida del Pd nei prossimi mesi. Una diserzione sarebbe un atto di rottura pesante, e i big del partito sono preoccupati: «Così salterebbe la direzione, saremmo nel casino più totale», confida un dirigente. «Renzi rischia di ritrovarsi completamente solo, se non accetta di trattare sul dopo». Ed enumera i pezzi da novanta con cui, nelle 48 ore post voto, il leader è entrato in rotta di collisione: Paolo Gentiloni, Marco Minniti, Dario Franceschini, il suo vicesegretario Maurizio Martina. Per non parlare, fuori dall'ambito di partito, di in presidente Mattarella che non nasconde la sua preoccupazione per il caos che regna nel Pd, alla vigilia dell'apertura di una fase politica e istituzionale delicatissima. A chi lo cerca per raccomandargli di andare alla Direzione di lunedì e confermare ufficialmente che le dimissioni sono immediatamente esecutive e che accetta quella «gestione collegiale» chiesta da tutti, fa rispondere: «Lo scoprirete lunedì».

La scadenza cui tutti guardano con crescente allarme è una, principalmente: la formazione dei gruppi parlamentari, e l'elezione dei capigruppo, a partire dal 23 marzo prossimo. Scadenza delicatissima perché i presidenti dei gruppi saranno quelli che guideranno le mosse parlamentari del Pd e che saliranno al Quirinale per le consultazioni sul governo. «Lì, se lui giocherà il tutto per tutto e tenterà di eleggere due suoi fedelissimi, può davvero saltare per aria il Pd e consumarsi una scissione parlamentare: Renzi e i suoi da una parte, e tutti gli altri da un'altra». Uno scenario catastrofico. Al Senato, i renziani sono in larga maggioranza e potrebbero avere gioco facile ad imporre un nome grato al segretario dimissionario: si fanno quelli di Dario Parrini, Andrea Marcucci o Mauro Del Barba. Alla Camera i renziani doc sono circa la metà del gruppo, e la partita è più complicata. Gira (dicono grazie soprattutto alla diretta interessata) il nome di Maria Elena Boschi, ma nessuno crede davvero a questa eventualità.

Intanto è partita una raffica di dimissioni dagli organismi di partito e segreterie regionali: se ne va Debora Serracchiani, la napoletana Assunta Tartaglione. Persino Maurizio Martina fa trapelare una minaccia di dimissioni, se Renzi non tratterà una soluzione «collegiale» accettando che il Pd venga guidato da un gruppo dirigente allargato, in attesa di aprire la fase congressuale.

In Direzione, fanno sapere i renziani, ci si conterà comunque, su un ordine del giorno che dica da subito che il Pd starà all'opposizione. «Il Quirinale non vuole un Pd attestato sul no preventivo, e molti al nostro interno sono pronti ad allinearsi», spiegano.

I big Pd del fronte anti-Renzi negano (solo dalla sinistra si fanno aperture ai Cinque Stelle), e spiegano: «Il governo Di Maio non esiste, anche perché se il centrodestra va unito e compatto al Colle, l'incarico verrà dato a loro».

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