"Il collega mi bullizza". Lo avvelena col sonnifero

L'uomo ha messo psicofarmaci nell'acqua di un altro impiegato, che alla fine si è salvato

"Il collega mi bullizza". Lo avvelena col sonnifero

«Sì, sono stato io mettergli il sonnifero nella bottiglia d'acqua. Mi sentivo bullizzato da lui e da altri, così ho voluto fare un dispetto ai miei colleghi».

Un dispetto che è costato caro a un cinquantenne torinese, denunciato per lesioni aggravate.

Il piano per metterlo in atto - con solo qualche goccia in più di sostanza soporifera poteva trasformarsi in una tragedia - è scattato nel mese di settembre, quando il collega beve un sorso d'acqua e poi, di colpo si addormenta, crollando sulla sedia dell'ufficio. Immediatamente trasportato in ospedale, insieme alla moglie che assiste alla scena e si sente male a sua volta per la paura, l'uomo si riprende dopo qualche ora ma il fatto viene segnalato ai carabinieri di Beinasco, in provincia di Torino. I militari si insospettiscono per quello strano colpo di sonno, soprattutto perché nel sangue dell'uomo, le analisi rilevano tracce di benzodiazepine, un tipo di psicofarmaco. Inoltre dalle indagini emerge che altri due impiegati della stessa azienda avevano accusato gli stessi sintomi dopo aver bevuto acqua dalla loro bottiglia.

Le testimonianze e i riscontri effettuati durante le indagini, portano a un sospettato: un collega che tutti definiscono «particolare, un po' strano nei modi di fare», che non passa certo inosservato. Ricostruendo alcuni episodi, mezze frasi dette tra i denti, i dubbi diventano quasi certezze e gli inquirenti decidono di vederci chiaro.

Del resto non sarebbe la prima volta le benzodiazepine vengono usate per tentare di avvelenare o stordire qualcuno. Il medicinale un ansiolitico efficace contro gli attacchi di panico o ansia, ma in certe dosi, produce effetti sedativi. Diventando ancor più pericoloso se mixato con altri farmaci, o l'uso di alcol.

Scatta una prima perquisizione a casa del sospettato, dove viene trova una scatola di antidepressivi. «Sono di mia madre - spiega lui -, che è morta alcuni mesi fa». Nonostante la scusa, quella scatola è il primo indizio contro di lui, che nega ogni responsabilità. Il dubbio è che l'uomo assuma antidepressivi senza aver consultato il medico curante, che viene ascoltato dagli inquirenti come persona informata sui fatti. Gli investigatori sentono di essere sulla pista giusta, eseguono un'altra perquisizione nella abitazione e sequestrano pc e telefono.

A quel punto l'uomo, sentendosi scoperto, crolla e confessa durante un interrogatorio,

assistito dal suo avvocato. «Sì, sono stato io - dice - E non mi so spiegare il perché. Volevo solo fare un dispetto, perché mi sentivo bullizzato» .Ora è indagato per lesioni aggravate dall'utilizzo di sostanza venefica.

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