Colonizzazione e schiavismo. C'è chi non piange e accusa

I profeti del politicamente corretto mettono nel mirino la storia britannica. E usano la morte della Regina

Colonizzazione e schiavismo. C'è chi non piange e accusa

Londra. I giorni di lutto nazionale che accompagneranno il Regno Unito fino a lunedì 19 settembre non portano con sé solo i messaggi di condoglianze di capi di Stato e di governo di moltissimi Stati, le attestazioni di affetto e di dolore di milioni di cittadini britannici e di altri Paesi. I giorni di lutto nazionale si stanno rivelando anche una cassa di risonanza irresistibile per le voci di dissenso alla monarchia inglese e alla sua storia imperiale.

«La regina ha aiutato a nascondere una sanguinosa storia di decolonizzazione le cui proporzioni e conseguenze devono ancora essere riconosciute adeguatamente. Non dovremmo romanticizzare la sua era». A scriverlo, sulle colonne del New York Times, è stata Maya Jasanoff, docente di storia all'università di Harvard. Il titolo dell'articolo - Piangete la regina, non l'impero riassume la critica di Jasanoff verso la storia imperialistica britannica, una voce di dissenso tutt'altro che isolata: «Il monarca di un impero dedito al furto, allo stupro, al genocidio è infine morto. Possano le sue pene essere atroci». A twittarlo è stata Uju Anya, professoressa associata di linguistica alla Carnegie Mellon University, che ha ribadito come il suo pensiero non sia nient'altro che disprezzo verso «il monarca che ha sovrinteso a un governo che ha sponsorizzato il genocidio che ha massacrato e disperso metà della mia famiglia e le cui conseguenze quelli vivi oggi stanno ancora cercando di superare».

Nonostante la prestigiosa Carnegie abbia preso le distanze dal pensiero di Anya, ha tuttavia difeso il suo diritto a esprimere le proprie idee appellandosi alla libertà di pensiero, concetto illuminista diffusosi nel mondo anche sui velieri britannici. Definitasi come figlia della colonizzazione, la madre nata in Trinidad e il padre in Nigeria, i suoi genitori si incontrano in Inghilterra negli anni cinquanta. «Oltre alla colonizzazione in Nigeria, c'è anche il traffico di schiavi nei Caraibi. C'è quindi una linea diretta non solo verso persone colonizzate ma anche rese schiave dagli inglesi».

Il pensiero di Anya è tutt'altro che isolato. C'è Zoe Samudzi, professoressa afro-americana di fotografia alla Rhode Island School of Design, che sempre su Twitter scrive: «Come prima generazione della mia famiglia non nata in una colonia inglese, danzerei sulle tombe di ogni membro della famiglia reale, se me ne fosse data l'opportunità». E Ebony Elizabeth Thomas, professoressa associata alla Scuola di Educazione dell'Università del Michigan, che twitta: «Dire al colonizzato come dovrebbe sentirsi circa la salute e il benessere del colonizzatore è come dire alla mia gente che dovrebbe venerare la Confederazione». E un'ex aiutante del governatore di New York, Andrew Cuomo, che, rispondendo a Thomas, scrive: «Non riesco a immaginare come i miei nonni irlandesi si sentirebbero». E Sunny Hostin, co-presentatrice del programma The View sull'americana ABC, che commenta: «Se veramente pensaste su cosa è costruita la monarchia, fu costruita sulla schiena di persone nere e marroni», per poi lanciare un'invettiva contro corona e scettro imperiali, tempestati di «pietre saccheggiate dall'India e dall'Africa. La comunità nera, di cui faccio parte, vuole essere risarcita».

Strali di orrore, grida scandalizzate, commenti orripilati non sono ovviamente mancati in risposta a queste prese di posizione, che sfruttano la portata planetaria dell'evento per centuplicare la forza della propria voce.

Un pensiero che guarda al passato con gli occhi dell'oggi, che si rifiuta di contestualizzare la storia applicandole coordinate analitiche del presente, che non vede come esso stesso sia figlio culturale di un liberalismo ideale e progressista nato negli stati europei e diffusosi nei suoi domini. In primis quelli inglesi.

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