Coronavirus

Colpo alle 500 aziende italiane in Cina. Il mercato del Dragone vale 7 miliardi

Per la prima volta la produttività è ferma, a rischio 1,2 milioni di euro per le start up. Pivetti: "Se cadono loro rallentiamo tutti"

Colpo alle 500 aziende italiane in Cina. Il mercato del Dragone vale 7 miliardi

C'è un legame stretto tra Italia e Cina. Oltre 7 miliardi di investimenti delle aziende italiane nel Paese asiatico. Più di 5.300 progetti, oltre 500 le aziende italiane iscritte alla Camera di Commercio italiana in Cina, 1,2 milioni di euro per 10 giovani startup Italiane. Imprenditori, manager, dipendenti. Una macchina che gira veloce, che produce crescita e ricchezza a doppio filo, l'aumento della domanda dei consumatori cinesi per beni di lusso e le lifestyle experience. Oggi il meccanismo è fermo. Per tutti. Per la Cina e per le imprese italiane.

Per la prima volta il mercato del Dragone accusa il colpo e schiaccia stop. Tutti fermi. La macchina produttiva si arresta, il crollo delle borse, la fuga per tornare a casa e i voli bloccati. La psicosi intorno e miliardi in fumo. Non era mai successo prima. Mai così a lungo. Fino al 9 febbraio, è questo il nuovo ordine, che potrebbe però ancora slittare e protrarsi. Intanto che si fa? Si attende, isolati e chiusi a casa, tutti psicologicamente in quarantena ad aspettare che l'emergenza passi, che le strade tornino ad essere il caos di sempre, che i rumori della vita frenetica salgano ancora su, fino alle punte dei grattacieli spenti. «Una situazione difficile, surreale che i cinesi non avevano mai provato fino ad ora. Neppure con la Sars», spiega Irene Pivetti Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Italia-Cina. Lei il Paese lo conosce bene, dal 2015 collabora con i governi locali che richiedono piani di sviluppo. «Noi portiamo le eccellenze italiane, i modelli operativi. Non era mai successo che la Cina che ha fatto della crescita costante il suo obiettivo, mettesse in stand by la sua produttività per tutelare la sicurezza sanitaria globale, è un paese sotto choc». Mentre racconta, Pivetti ha oltre 50 chat attive con la Cina. «Si respira uno strano clima, anche deprimente, una grossa prova emotiva per la popolazione, anche se prevale l'ottimismo e in molti ripetono: lo stato provvederà a tutti. Il paese è il maggior produttore al mondo di mascherine e camici ma per la prima volta, con la produzione ferma, le scorte si sono azzerate. Al momento quello che stiamo facendo con la mia organizzazione è mandare questo materiale per uscire dall'emergenza».

Oltre all'emergenza poi c'è la fondata preoccupazione economica. «Se si ferma la Cina rallentiamo tutti. È inevitabile, è chiaro. Ecco perchè il Paese deve ripartire e il panico scatenato da alcuni Paesi è insensato e controproducente».

La maggiore apertura della Cina agli scambi internazionali ha avuto un riflesso positivo anche nei confronti dell'interscambio con l'Italia che l'anno scorso ha toccato il massimo storico di 54,2 miliardi di dollari.

Il primo China International Import Expo (CIIE) nel novembre di due anni fa ha visto la partecipazione di 141 aziende italiane, che forniscono prodotti e servizi nel settore medico, alimentare, delle apparecchiature intelligenti e del consumo quotidiano. A Wuhan, città con 12 milioni di abitanti, dove si è scatenato l'epicentro del coronavirus nel 2018 è nato il primo Italian Village, un mega spazio espositivo a disposizione delle piccole e medie aziende italiane che intendono raccontare la tradizione del Made in Italy ai consumatori cinesi.

Tutto deserto.

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