"Un colpo di teatro per voi". Poi le accuse al ministro

Vittorio Sgarbi spiazza tutti e scatena un terremoto

"Un colpo di teatro per voi". Poi le accuse al ministro
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Vittorio Sgarbi spiazza tutti e scatena un terremoto. Dal palco della Ripartenza, la kermesse organizzata a Milano dal vicedirettore del Giornale Nicola Porro, il professore ha sganciato ieri la notizia che nessuno si sarebbe aspettato: «Mi dimetto con effetto immediato da sottosegretario alla Cultura del governo e lo comunicherò nelle prossime ore alla Meloni». Un fulmine a ciel sereno, arrivato dopo un pronunciamento dell'Antitrust che dichiarava l'incompatibilità tra gli incarichi istituzionali del noto critico d'arte e le sue attività di conferenziere, «sia gratuitamente sia a pagamento». Sgarbi, per settimane bersagliato da insinuazioni di stampa sull'argomento, aveva assicurato di volersi rimettere proprio alle decisioni del Garante. E così è stato. «Adesso farò quello che fa Sgarbi, il critico d'arte. L'Antitrust ha ritenuto le indicazioni di lettere anonime come delle indicazioni credibili e ha dichiarato l'incompatibilità. Se sono incompatibile io, chiunque faccia una conferenza da ministro o da sottosegretario, è incompatibile», ha commentato a caldo il professore. E ancora: «Il ministro Gennaro Sangiuliano? Non l'ho sentito. Non potevo sentire una persona che riceve una lettera anonima e la manda all'Antitrust. Le lettere anonime si buttano via, gli uomini che hanno dignità non accolgono lettere anonime. Farò ricorso al Tar perché si dica comunque che io non avevo un'altra professione, ne avevo solo una: essere Sgarbi, essere uno storico dell'arte ed è per questo che sono diventato sottosegretario». Ai microfoni del sito Nicolaporro.it, Vittorio ha quindi ringraziato il governo e in particolare il premier Giorgia Meloni. «È sempre stata garantista. In questo momento non le chiedo niente, le invierò la lettera questa sera». Poi lo sfogo, venato di amarezza: «Sono oggetto di una persecuzione mediatica evidente» con «ricostruzioni inesistenti su questa supposta incompatibilità con sessantacinque articoli. Su questo c'è stata un'azione precisa per portarmi alle dimissioni». E sul fronte politico, chi aveva prestato il fianco a quella incalzante campagna mediatica ha subito esultato di fronte al passo indietro del professore. Come se si trattasse di una vittoria. «Ce l'abbiamo fatta. Le dimissioni di Sgarbi con effetto immediato fanno tirare un sospiro di sollievo a tutto il Paese. È il risultato di tutti gli sforzi che il Movimento Cinque Stelle ha messo in campo», hanno strombazzato i grillini. Reazioni di surreale giubilo sono arrivate pure dal Pd, ormai ridottosi a fare il tifo contro, come accade allo stadio. «Meloni e Sangiuliano spieghino al Parlamento per quali ragioni il governo ha fatto orecchie da mercante sul caso Sgarbi», hanno commentato i componenti dem della commissione cultura della Camera, utilizzando la vicenda per cannoneggiare contro Palazzo Chigi. E nella mischia si è buttato pure Matteo Renzi: «Era un atto dovuto, lo sappiamo, ma Vittorio Sgarbi almeno ha avuto la decenza di dimettersi.

Quella decenza per ora manca a Lollobrigida e Delmastro». Figurarsi: dall'inizio della legislatura non è passato mese in cui le opposizioni non chiedessero le dimissioni di qualcuno della compagine governativa. Alla faccia del garantismo.

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