N oterete che nella fotografia l'unica a sorridere è l'automobile, una simpatica «600». Le «600» mi sono sempre state simpatiche, e le ho sempre viste sorridere. Tutte tranne la «600 Multipla», ovviamente, perché con quegli occhi eccessivamente in fuori, il muso piatto e i dentoni sul paraurti che sembravano zanne, aveva l'aria da bestiaccia preistorica. E, di conseguenza, mi pareva triste (poi, qualche anno dopo, proprio a bordo di una «600 Multipla» versione taxi, di quelle bicolori, nero e verde scuro, fui portato in ospedale a «fare le tonsille», quindi mi apparve ancora più triste delle altre). Invece questa «600 D», palesemente fresca di concessionaria, sorride beata in riva al mare.
Gli altri tre personaggi della scena, la mamma, il papà e la loro figlioletta, non sorridono. Lo faranno presto, perché sono appena arrivati su quello che pare il set di un documentario intitolato «La vacanza italiana nel 1960», e stanno preparando la loro casetta balneare da campeggio. È una vera casetta, con il tetto, la porta e la finestra. Però questo non è un documentario in presa diretta. Il regista ha lavorato di concerto con lo scenografo, con il costumista e con l'attrezzista. Ci sono un mucchio di cose, in questa fotografia. Giunta alla tenera età di cent'anni, per la prima volta l'Italia ha tutto ciò che le serve. Glielo hanno fornito il suo lavoro, la congiuntura e il «boom economico», altrimenti detto «miracolo»: finalmente nel Paese dei campanili le campane suonano a festa. L'ultima guerra è distante soltanto quindici anni, meno di un battito di ciglia, sul volto rugoso del Tempo, eppure... Eppure eccoli qui, i nostri quattro amici. Con le pinne (in mano alla bimba), fucile (appoggiato alla casetta) ed occhiali (che non si vedono ma da qualche parte saranno sicuramente, ci devono essere), come di lì a poco avrebbe cantato Edoardo Vianello.
Non è ostentazione, bensì soddisfazione, non è paranoia, bensì gioia. La famigliola, motore di una società in rapida crescita, spegne per due o tre settimane il motore della «600 D» e si appresta a godere il meritato riposo dall'ufficio, dalle faccende domestiche e dalla scuola materna. Il papà appende la lampada sotto la tenda che funge da dehor, la mamma mostra alla piccola un pentolino dove verrà cotto il pranzo, la bambina lo osserva con attenzione e forse già con appetito. Il piccolo cesto per i rifiuti, il grande cesto per l'eventuale pic-nic. Sul tavolino due thermos, i piatti, i bicchieri. In bella evidenza, un retino da pescatore. Probabilmente il papà andrà a pesca... Certo che ci andrà, e pure in barca, visto che lì accanto, piantato nella rena come un soldatino sugli attenti, compare un piccolo fuoribordo marca Squalitalia, aggressivo soltanto nel nome: a occhio e croce, saranno un paio di cavalli. Infine, niente meno che gli sci d'acqua!
Ora, mettiamo pure che il papà goda di uno stipendio superiore alle 50mila, alle 70mila lire, che all'epoca erano una bella somma. Ma lo sci d'acqua restava roba da ricchi veri, da film, non da documentario, e nemmeno il «miracolo economico» avrebbe potuto renderlo uno svago popolare.
Sarebbe stato necessario fare un passo oltre il miracolo, entrando nella terra di nessuno dell'utopia. Molti ci si sarebbero avventurati, un decennio dopo, con poca fortuna. Per ora, nell'estate del 1960, gli italiani fanno il passo lungo esattamente come la gamba. E camminano spediti a testa alta.
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