Comincia l'epoca May «Giustizia sociale» E c'è un ministro Brexit

Il nuovo capo del governo promette lotta alle diseguaglianze. Hammond alle Finanze

Boris Johnson, l'uomo della Brexit, agli Esteri ma lontano dal dossier, che viene affidato con un ministero ad hoc a un altro pro-Brexit, David Davis, l'uomo che nel 2005 fu sconfitto da Cameron nella corsa alla leadership dei Tory e che è da oggi il Segretario di Stato per l'uscita dalla Ue. Philip Hammond prende le Finanze e fa fuori George Osborne, europeista e anima dell'austerity. Prima delle nomine, tra cui quella di un'altra donna come lei, Amber Rudd, agli Interni, la neopremier Theresa May fa un discorso che vuole togliere tutto il terreno fertile all'opposizione laburista. Contro il privilegio e «le ingiustizie brucianti percepite da molti», a difesa delle minoranze etniche, della mobilità sociale e della parità di genere. Contro «gli interessi dei pochi», perché tutti i cittadini, «da qualunque background provengono» abbiano le stesse possibilità. A favore non solo dell'unità nazionale «ma anche dei cittadini». Appena nominata 76esimo primo ministro del Regno Unito, la May dà vita al nuovo governo della rivoluzione post-Brexit cercando di creare una squadra bilanciata tra favorevoli e contrari alla Ue e che si concentri soprattutto su altre questioni. May vuole togliersi di dosso l'ombra di Margaret Thatcher, la leader della frattura sociale, e preferisce muoversi nella continuità politica annunciando di voler lavorare nel solco del conservatorismo compassionevole del premier uscente David Cameron. Ma vuole anche riprendersi la maternità di un partito riformato che lei per prima ha fortemente voluto cambiare con il discorso in cui nel 2002 avvertì i colleghi che era necessaria una rottura col passato.

Emozionata, dopo aver accettato l'incarico di Sua Maestà a Buckingham Palace ed essere diventata la seconda donna della storia a guidare il governo di Londra, Lady May nella storia vuole entrarci togliendo definitivamente ai Conservatori l'onta di «nasty party», di partito spietato, dei ricchi e dei privilegiati, ostile agli omosessuali e alle minoranze. Non a caso nel ringraziare il suo predecessore, ricorda che la principale eredità di Cameron, più dell'economia stabile che lascia l'ex premier, più della riduzione del deficit di Bilancio e dei numeri sull'occupazione, i più alti di sempre, «è stata la giustizia sociale, dall'introduzione dei matrimoni gay all'abolizione della tassa sui redditi per gli stipendi più bassi». L'opposizione avrebbe parecchio da obiettare ma il messaggio è chiaro: la nuova leader «di ferro» vuole sfondare nel campo avversario specialmente ora che il Labour è nel caos. «Perché non tutti sanno - spiega didatticamente - ma il nome completo del mio partito è Partito Conservatore e Unionista. Una parola molto importante per me perché vuol dire che non crediamo solo nell'unità delle nazioni, di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, ma anche in quella fra cittadini», al di là della loro estrazione sociale.

Che May voglia «vincere alla grande nel 2020», come ha detto poco prima allo staff dei Conservatori per tagliare corto sull'eventualità di elezioni anticipate, lo si capisce da come abbia sottratto al Labour, in queste ore in piena guerra fratricida, i suoi temi tradizionali e la bandiera di paladino della working class. Contro le «ingiustizie sociali» che spingono verso vicoli chiusi: «Se sei nato povero, morirai in media nove anni prima degli altri. Se sei nero, sei trattato più duramente di un bianco dalla giustizia penale. Se sei un ragazzo della working class hai meno possibilità di raggiungere le professioni migliori di un ragazzo istruito nelle scuole private. Se sei donna, guadagnerai meno di un uomo. Se soffri di problemi mentali non c'è abbastanza aiuto e se sei giovane troverai molto più difficile comprare casa».

May ci tiene a sottolineare che non vuole blandire i cittadini. Che capisce come «avere un lavoro non necessariamente significhi avere una sicurezza occupazionale, che la vita è molto più dura di quello che pensano molte persone a Westminster». Sono parole che tentato di colmare la distanza fra la classe politica e la gente, soprattutto tra un partito ancora accusato di essere espressione del privilegio. Perciò promette che «quando passeremo nuove leggi penseremo a voi, quando affronteremo il capitolo tasse daremo priorità non ai ricchi ma a voi». Infine il capitolo Brexit: «Dopo il referendum abbiamo di fronte un periodo di grandi cambiamenti». Ma saranno fuori dalla Ue: «Mentre lasciamo l'Unione europea - conclude - forgeremo un nuovo ruolo positivo per noi nel mondo».

Non solo l'insediamento di May. Ieri è stato il giorno del congedo del premier Cameron, con l'addio al 10 di Downing Street: «Non è stato un viaggio facile e certamente non abbiamo preso tutte le decisioni giuste ma sono convinto che oggi il nostro Paese sia più forte, la nostra economia immensamente più forte». Ma il saluto più brillante si è consumato nel question time, l'ultimo, alla Camera dei Comuni in cui l'ex leader dei Tory ha strappato molte risate e una standing ovation finale.

La battuta più bella contro il leader del Labour Jeremy Corbyn: «Sembra il Cavaliere Nero dei Monty Phyton», lo scemo che combatte fino a perdere braccia e gambe ma non lascia il posto a nessuno. Quella di classe è arrivata con l'autocitazione della vecchia battuta contro Tony Blair, sfoderata quando Cameron divenne leader nel 2005: «Un tempo ero io il futuro».

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