Interni

Il vero voto di scambio? Il reddito grillino

Quindi abbiamo Elly Schlein che mette la faccia di Berlinguer sulle tessere del Partito e poi, peggio, abbiamo Giuseppe Conte che parla di "una fase che ci ricorda Mani pulite"

Il vero voto di scambio? Il reddito grillino

Ascolta ora: "Il vero voto di scambio? Il reddito grillino"

Il vero voto di scambio? Il reddito grillino

00:00 / 00:00
100 %

Quindi abbiamo Elly Schlein che mette la faccia di Berlinguer sulle tessere del Partito e poi, peggio, abbiamo Giuseppe Conte che parla di «una fase che ci ricorda Mani pulite, laddove la politica e la classe dirigente non compresero che c'era un morbo diffuso». Se la segretaria del Pd pecca d'ingenuità, l'avvocatino dei Cinque Stelle dispensa ignoranza quale ragione sociale del suo elettorato, vellicato e titillato da ogni scenario di manette e di giunte contro cui scagliare i propri «vergogna» fondativi; Conte, in altre parole, confonde Mani pulite con una frittura mista di reati ipotizzati a Bari e in Sicilia tra i quali spicca soprattutto quel voto di scambio che esiste solo in Italia, e che non solo esiste solo in Italia: è stato riformulato quattro volte (1992, 2009, 2014, 2019) perché evidentemente tanto chiaro non è: sappia Giuseppe Conte che molti osservatori esteri giudicano come un voto di scambio proprio quello che i Cinque Stelle proposero e ottennero alle scorse Politiche laddove era più diffuso il reddito di cittadinanza e dove lui propose di battersi per rinnovarlo. Le Regioni col più alto numero di redditi di cittadinanza furono Campania, Sicilia e Calabria; le città col più alto numero di redditi di cittadinanza erano Napoli, Palermo, Crotone, Catania, Caserta e Siracusa; e le Regioni in cui si concentrò la campagna elettorale di Giuseppe Conte furono Campania, Sicilia, Calabria, Basilicata e Puglia.

Ne consegue che il riflesso grillino di straparlare di «nuova Mani pulite» è anche peggiore della loro solita reazione robotizzata che scambia ogni refolo per tornado. Non è Mani pulite: è il contrario, e basta spiegarlo. Tangentopoli consisteva in due sistemi di corruzione e di finanziamento illecito. Il primo non esiste più e legava le grandi imprese di Stato, i grandi enti e i grandi partiti ad altrettante grandi aziende organizzate in cartelli o in cooperative che facevano fondi neri e bilanci falsi; è un sistema che considerava i pagamenti alla politica come un passaggio obbligato e che, dopo la dissoluzione del «capitalismo senza mercato», non ha lasciato né capitalismo né mercato. Il secondo sistema era periferico e legato alle realtà politiche locali (regioni, province, comuni) che in chiave ristretta replicava il sistema illegale centralizzato; questo sistema prevedeva che una parte dei soldi fosse mandata a Roma sede dei partiti e che un'altra fosse trattenuta per esigenze correnti, spesso impigliandosi nelle tasche di qualche mediatore. Infine ed eccoci esisteva e resiste una specie di ras periferici che non manda più nulla a Roma, compra e scambia voti, finanzia solo il proprio tenore di vita personale o, bene che vada, qualche campagna elettorale. Un tempo facevano eccezione i candidati decisamente celebri eletti per «chiara fama», ma le cariche politiche oggi non denotano più molta attrattiva (se non per le detenute in Ungheria). A rimanere immutata, infine, è la corruzione della mitizzata società civile con i suoi professionisti, i suoi tecnici e funzionari pubblici, faccendieri che svolazzano attorno a incarichi, appalti, licenze, esami comprati, rimborsi gonfiati e sanità saccheggiata.

Giuseppe Conte può rivolgersi a loro.

Commenti