Condannato il branco degli stupri a Rimini. Ma saranno liberi presto

Nove anni e 8 mesi a tre minorenni stranieri che violentarono una polacca e una trans

Condannato il branco degli stupri a Rimini. Ma saranno liberi presto

Per una volta la giustizia è arrivata come un lampo. A pochi mesi dagli stupri che sconvolsero la riviera romagnola, ecco le condanne: 9 anni e 8 mesi di carcere per ciascuno dei tre minorenni del gruppo. Il capobranco, il ventenne congolese Guerlin Butungu, aveva già ricevuto nelle scorse settimane una pena di 16 anni. Dunque, giustizia è fatta. Giustizia all'italiana, inevitabilmente double face, specialmente in tempi difficili come questi. Si può leggere il verdetto come una risposta esemplare dello Stato che in breve ha inchiodato i baby criminali alle loro terribili responsabilità, ma si può anche rovesciare il ragionamento: 9 anni e 8 mesi, a fronte dei 20 e passa teorici da cui si era partiti, sono poca cosa. E potrebbero pure ridursi ulteriormente in Appello. Il nostro sistema funziona cosi: il rito abbreviato, scelto dagli imputati, garantisce lo sconto di un terzo. E la situazione anagrafica, insomma il fatto di avere meno di 18 anni, dà in automatico un secondo, robusto bonus.

Del resto siamo davanti a tre ragazzini: i due fratelli marocchini, di 15 e 17 anni, il nigeriano sedicenne. L'obiettivo del codice, a maggior ragione davanti a tre adolescenti, è quello del recupero e del reinserimento nella società. I fratelli sono in cella ma frequentano la scuola. E naturalmente, gli avvocati provano a rassicurare l' opinione pubblica. «I giovani hanno chiaramente capito cosa hanno commesso - spiega Marco Defendini, difensore dei marocchini - hanno capito qual è la situazione». Sulla stessa linea Alessandro Gazzea: «Il nigeriano si è reso conto fin dal primo giorno, ha confessato fin dal momento del fermo e ha descritto tutto quello che era accaduto».

Insomma, il terzetto sarebbe sulla strada della redenzione, o almeno della progressiva presa di consapevolezza di quel che è successo. Era la fine di agosto: una coppia di turisti polacchi fu aggredita sulla spiaggia. Lui fu picchiato selvaggiamente, lei violentata brutalmente e minacciata di morte. Un episodio atroce, ma la notte brava non fini lì: i quattro si accanirono contro una trans peruviana incontrata casualmente.

Una vicenda scioccante e una cartolina di cronaca nera che faceva a pezzi il clima gaudente del divertimentificio d'Italia. Fino al rapido epilogo e alla scoperta che i quattro rappresentavano le diverse facce dell'immigrazione. Butungu era arrivato con il barcone a Lampedusa e aveva vinto il jolly della protezione umanitaria, per molti un surrogato scandaloso del permesso di soggiorno; i marocchini appartenevano a una famiglia disastrata, sempre sull'orlo dell'espulsione, e i genitori dei due fratelli avevano collezionato denunce e condanne. L'unico ad avere un quadro di riferimento solido e inattaccabile era il nigeriano, che probabilmente è anche quello che più ha collaborato con gli inquirenti dopo l' arresto.

Ora il futuro è un punto interrogativo cui però si dovrà dare una risposta nel giro di pochi anni: a fine pena Butungu dovrebbe essere rimandato nel suo Paese. Gli altri hanno buone chance di restare in Italia: molto dipenderà dal modo in cui affronteranno il percorso fissato dai giudici. La questione, infiammata dalle polemiche di queste settimane e dalla sequenza di crimini commessi da stranieri più o meno irregolari, è assai controversa.

Si vedrà, ma certo non possono scivolare via le parole pesantissime della vittima polacca: «Mi capita di avere incubi notturni e attacchi di panico. Non so se passeranno mai la paura e il senso di vergogna che mi accompagnano». Alla fine, la pena più lunga sarà la sua.

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