La vera pace è silenziosa

La sofferenza non è un manifesto. I bambini sotto le bombe non sono materiale da corteo

La vera pace è silenziosa

Prima di cedere all'incanto delle iniziative che sventolano la parola "pace" come un lasciapassare morale, è doveroso porsi una domanda semplice: si agisce per aiutare o per apparire? Perché tra chi tende la mano e chi usa il dolore come scenografia, la distanza è enorme. La cosiddetta Sumud Global Flotilla ne è l'emblema: un'operazione organizzata non per proteggere civili o alleviare la sofferenza, ma per mostrarsi, per occupare la scena, per generare clamore. E non solo: dietro la retorica umanitaria si cela una spietata operazione di strumentalizzazione politica che, nei fatti, finisce per avvantaggiare Hamas, non le popolazioni civili che dice di voler tutelare.

È la solita dinamica: si invoca la pace ma si alimentano le ragioni del conflitto. Si parla di aiuto, ma si lavora per la propaganda. E naturalmente non manca il sostegno di quella sinistra che da anni trasforma ogni emergenza in un palcoscenico ideologico. Pronti a indignarsi a comando, selettivi nel dolore e instancabili nel trasformare la sofferenza altrui in carburante politico, senza mai sporcarsi le mani nella realtà.

Io conosco un altro modo di agire, perché l'ho vissuto sulla mia pelle e sulle spalle delle persone che ho incontrato. Quando la guerra ha ferito l'Ucraina, non ho convocato conferenze stampa né cercato palcoscenici. Sono partito. Di notte, su pullman e furgoni organizzati in poche ore, insieme a volontari che mettevano se stessi, non la propria ideologia, al servizio degli altri. Abbiamo viaggiato senza fermarci, attraversando l'Europa mentre i notiziari parlavano e basta. Siamo entrati in Polonia, poi oltre il confine, nel territorio colpito dalla guerra, perché chi scappa dalle bombe non lo incontri nei salotti televisivi ma sulla strada, al gelo, in una stazione improvvisata o accanto a un pullman sgangherato. Ho parlato con madri che non avevano più voce, tenuto in braccio bambini che non piangevano neanche più, perché avevano finito le lacrime. Li ho guardati salire sui nostri mezzi con la sola cosa che avevano ancora: la fiducia in uno sconosciuto. Abbiamo riportato in Italia centinaia di bambini, con viaggi massacranti e senza un titolo di giornale pianificato. Non abbiamo "testimoniato", abbiamo agito. Non abbiamo protestato, abbiamo protetto. È tutto raccontato in Autonomia e Libertà, ma soprattutto vive nel silenzio riconoscente di chi abbiamo portato via da quegli orrori.

Ecco perché respingo con forza iniziative come la Sumud Global Flotilla e la retorica politica che le accompagna soprattutto quella della sinistra che, invece di aiutare, strumentalizza, incita e copre. Parlano di diritti mentre costruiscono provocazioni. Sventolano la parola "pace" mentre usano l'odio come carburante politico. Difendono i deboli solo quando conviene alla narrazione, e intanto danno una sponda concreta alla propaganda di Hamas, che di queste operazioni vive e si legittima. La differenza è chiara: c'è chi attraversa i confini per salvare, e chi attraversa i talk show per comparire; c'è chi accompagna i bambini fuori dalla guerra, e chi usa la guerra per sfilare con uno slogan; c'è chi parte in silenzio, e chi si fa accompagnare dai microfoni.

La solidarietà vera non ha bandiere né sponsor ideologici. È fatta di mani, mezzi e coraggio. Io ho scelto quella via, lontano dal clamore e vicino alle persone. Altri, invece, scelgono la sceneggiata ideologica, le flottiglie mediatiche, le provocazioni di comodo. E la sinistra che le sostiene si assume la responsabilità di trasformare il dolore altrui in scenografia e di fare, consapevolmente o no, da cassa di risonanza a interessi che nulla hanno a che vedere con la pace.

La sofferenza non è un manifesto. I bambini sotto le bombe non sono materiale da corteo. La pace non è un gadget politico.

Ho visto il volto vero della guerra e ho scelto di spostare quei volti, non di usarli. Chi oggi applaude e organizza spettacoli travestiti da cause umanitarie dovrebbe ricordarsi che la dignità non si imbarca: si protegge.

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