Consip, Cassazione contro i pm Crolla l'inchiesta Woodcock

Le motivazioni della scarcerazione di Romeo accusano Napoli: "Intercettazioni invasive, dubbi di legittimità"

Consip, Cassazione contro i pm Crolla l'inchiesta Woodcock

Niente «sistema Romeo», con buona pace di Woodcock. Un duro colpo per l'inchiesta su Consip arriva dalle motivazioni della decisione con cui la Cassazione aveva, a giugno, annullato con rinvio l'ordinanza di arresto dell'imprenditore napoletano Alfredo Romeo, da cui l'indagine sulla presunta corruzione nella centrale acquisti della pubblica amministrazione aveva avuto l'avvio.

I giudici della Suprema Corte non solo smontano l'esistenza di un «sistema» con a capo l'imprenditore in grado di esercitare «una capacità di infiltrazione corruttiva», ipotizzato dai pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano, ma stigmatizzano anche l'uso delle intercettazioni ambientali effettuate dagli inquirenti nello studio romano di Romeo, intercettazioni «particolarmente invasive» ordinate in base all'ipotesi di reato originario - concorso esterno in associazione camorristica - che però era poi caduto nel momento in cui la procura di Roma - alla quale Napoli aveva trasmesso gli atti - aveva chiesto e ottenuto l'arresto di Romeo per corruzione. Il dubbio sollevato dalla Cassazione riguarda insomma la «sussistenza dei presupposti di legittimità delle intercettazioni ambientali». Un punto sul quale aveva insistito la difesa dell'imprenditore e che potrebbe avere ricadute anche sul fronte «politico» dell'indagine, visto che col software spia erano state captate molte delle intercettazioni con Carlo Russo, l'imprenditore di Scandicci amico di Tiziano Renzi che avevano poi portato al filone che ha coinvolto il papà dell'ex premier, che Romeo avrebbe cercato di avvicinare nel tentativo di ottenere una via privilegiata agli appalti della Consip, parallelamente alla corruzione di cui è accusato per i rapporti con il funzionario della centrale acquisti della Pa Marco Gasparri. Per i giudici della sesta sezione, insomma, «non si comprende dall'ordinanza impugnata di quali contenuti operativi consista e in quali forme e modalità concrete si inveri il metodo o il sistema di gestione dell'attività imprenditoriale da parte del Romeo, cui si fa riferimento per giustificare l'ipotizzato esercizio di una capacità d'infiltrazione corruttiva in forme massive nel settore delle pubbliche commesse». Ossia non è chiaro quale sarebbe questo «metodo corruttivo» di Romeo (tra l'altro «incensurato», osservano gli ermellini) che solo a luglio, dopo la decisione favorevole del tribunale della Libertà di Roma, era potuto andare ai domiciliari con braccialetto elettronico. Smontato il primo caposaldo su cui si era sviluppata l'inchiesta a Napoli poi trasferita a Roma, come detto l'altra bastonata alle procure arriva sulle intercettazioni, ed è decisamente più pericolosa anche per gli altri filoni dell'indagine. I dubbi sollevati dalla Cassazione sull'uso del software spia che ha permesso di ascoltare le conversazioni nello studio dell'imprenditore, però, si spingono più che altro a invitare il Riesame a svolgere una serie di verifiche «già richieste ma non effettuate» su quelle intercettazioni poi utilizzate dal gip per l'arresto di Romeo.

L'utilizzabilità, anche se nel frattempo era caduta l'accusa di concorso esterno che giustificava il sistema così invasivo di ascolto, non è invece esclusa a priori dagli ermellini «anche quando il prosieguo delle indagini impone di qualificare i fatti come non ascrivibili» a quella fattispecie di reato.

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