La Consulta apre le celle. Libertà anche ai boss che non si sono pentiti

La Corte costituzionale pronta a cancellare l'ergastolo ostativo. Ecco chi potrà uscire

La Consulta apre le celle. Libertà anche ai boss che non si sono pentiti

Fine pena quasi mai. La Corte costituzionale avrebbe deciso di consentire la libertà condizionata anche ai boss che non collaborano con la giustizia, cancellando per sempre il cosiddetto «ergastolo ostativo», cioè l'aggravante che impediva i benefici ai condannati per reati di tipo mafioso, per terrorismo ed eversione che non collaborano con la magistratura. Già l'ergastolo era una finzione giuridica, oggi tutti i condannati potranno avere accesso alla cosiddetta «liberazione condizionale» dopo 26 anni di pena scontata. E di tornare in libertà dopo altri 5. Decisivo il sì dell'Avvocato dello Stato Ettore Figliolia.

Tutto nasce dall'eccezione di legittimità sollevata dalla Cassazione con la sua ordinanza dello scorso giugno dopo l'esposto dell'avvocato Giovanna Beatrice Araniti, difensore di Salvatore Francesco Pezzino (condannato all'ergastolo per omicidio volontario) e figlia dello storico boss di 'ndrangheta Santo Araniti, condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'ex deputato Dc ed ex presidente delle Ferrovie dello Stato Lodovico Ligato e recentemente accostato anche alla morte di Antonino Scopelliti, sostituto procuratore generale della Cassazione ucciso in Calabria nel 1991 prima di una sentenza sul maxiprocesso ai boss di Cosa Nostra, probabilmente da killer di mafia e 'ndrangheta insieme. Pezzino sarebbe il classico «detenuto modello» che di fronte al niet del tribunale di Sorveglianza dell'Aquila di concedere la libertà vigilata ha denunciato «l'irragionevole compressione dei principi di progressività del trattamento». Anche il padre dell'avvocato Araniti potrebbe uscire di cella? «Sì», ha detto il legale al Fatto quotidiano. Ma non sarebbe il solo. Il più illustre sarebbe Filippo Graviano, boss mafioso condannato all'ergastolo per le stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per le bombe del 1993 a Roma, Milano e Firenze, per l'omicidio del sacerdote don Pino Puglisi, in carcere dal 1994, che recentemente ha deciso di accusare Silvio Berlusconi. Una circostanza che ha già fatto infuriare Nino Di Matteo, ex pm antimafia e togato indipendente del Csm: «Poco alla volta si stanno realizzando alcuni degli obiettivi principali della campagna stragista del 1992-1994 con lo smantellamento del sistema di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Giovanni Falcone», ha tuonato Di Matteo. Nel mirino adesso c'è l'addio al carcere duro, che molti giuristi considerano altrettanto inumano. Con buona pace di chi vorrebbe boss mafiosi morire in cella come Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Vedremo. Secondo un'interpretazione più stringente della normativa, la sentenza darebbe più spazio di discrezionalità al magistrato, come ribadisce il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto: «Un elemento ostativo non può derivare da una scelta processuale».

«Chi si è sempre proclamato innocente nei processi come può dirsi pentito di qualcosa che non ha commesso? Come può collaborare uno che si proclama estraneo a certi vincoli?», commenta con il Giornale l'avvocato Ivano Iai, secondo cui la decisione della Corte cancellerebbe «quella parte nebbiosa del nostro sistema, la premessa fallace della presunzione di pericolosità verso chi si è sempre dichiarato estraneo, mentre in realtà il beneficio penitenziario è il riconoscimento di un diritto umano, quello della riabilitazione sociale e della rieducazione, essenziali nella struttura della sanzione penale come prevede l'articolo 27 comma tre della Costituzione».

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