«D i Maio insiste, ma ti garantisco che lo farò ragionare: non farà il vicepremier». Così, con poche inequivocabili parole durante un lungo colloquio telefonico, Giuseppe Conte rassicura Nicola Zingaretti. E, di fatto, scarica il leader M5s e la sua smania di poltrone. Non è un segreto, infatti, che la trattativa tra Cinque stelle e Pd sia arenata ormai da 48 ore su quale debba essere il ruolo che ricoprirà Luigi Di Maio se e quando nascerà il Conte bis. Un vero e proprio macigno sul confronto, tanto che alla fine proprio il premier in pectore è sceso in campo per sbrogliare la matassa. Prima ha rassicurato un Di Maio sempre più scomposto e agitato promettendogli di «fare il possibile», poi ha chiamato Zingaretti e, di fatto, lo ha scaricato. «Anche perché argomenta Conte la nomina di eventuali vicepremier è una prerogativa esclusiva del presidente del Consiglio». Una presa di posizione netta, di cui il Quirinale è stato fatto partecipe fin dalla tarda mattinata.
Insomma, al netto di una politica che come dimostra l'ultima settimana è sempre più liquida, Di Maio sarà costretto a rinunciare alla poltrona di vicepremier e dovrà accontentarsi di quella di semplice ministro (probabilmente della Difesa). Resta invece da vedere se ci sarà un solo vice del Pd (Andrea Orlando il più quotato) oppure se, proprio per non urtare l'ipersensibilità del leader grillino, il Conte bis non avrà vicepremier. D'altra parte, sono due giorni che in barba al programma e alla sbandierata trasparenza del Movimento Di Maio scalcia come un bambino a cui hanno rubato lo zucchero filato. Insofferenza emersa anche sul Colle nelle sue parole a favore di telecamera appena uscito dalle consultazioni con Sergio Matterella. Dopo aver dato il benestare alla trattiva con il Pd sul nome di Conte, infatti, il leader grillino ci tiene a far sapere «all'opinione pubblica» che la Lega gli aveva offerto la poltrona di premier. Ma, aggiunge, «a me interessa il meglio per il Paese e non per me stesso». Un modo per rivendicare la legittimità delle sue richieste di questi giorni: potevo fare il premier 14 mesi fa e ho lasciato a Conte, potevo farlo oggi e ho di nuovo fatto un passo indietro a favore di Conte, almeno non toglietemi la poltrona di vicepremier. Un'uscita destinata a mettere le mani avanti anche rispetto all'ennesimo affondo di Beppe Grillo che sarebbe arrivato di lì a un'ora. Dopo avere spinto il Movimento verso l'accordo con il Pd, ieri sera appena il portavoce del Quirinale Giovanni Grasso ha annunciato per questa mattina alle 9.30 la convocazione di Conte per l'incarico il fondatore del M5s ha postato sul suo blog parole che sembrano scritte apposta per Di Maio: «C'è un po' di poltronofilia. Oggi invece è l'occasione per dimostrare che le poltrone non c'entrano nulla. I ministri vanno individuati in un pool di personalità del mondo della competenza, assolutamente al di fuori della politica».
In verità, il braccio di ferro va avanti da giorni proprio sulle poltrone. Ambitissima quella del Viminale, perché il Pd vuole lo «scalpo politico» di Matteo Salvini e spera ancora di piazzare al suo posto Marco Minniti, uno che il ministero dell'Interno lo conosce bene e che non vede affatto di buon occhio le nomine prefettizie di questi ultimi 14 mesi. Ma resta quotatissimo anche il «tecnico» Franco Gabrielli, capo della Polizia nonché storico amico di Dario Franceschini. E il Viminale, insieme a Economia, Esteri e Difesa è uno dei ministeri chiave cui il Colle guarda con grande attenzione. Con un occhio privilegiato su via XX Settembre, che dovrà velocemente farsi carico di una legge di Bilancio che sarà molto diversa da come i tecnici del Mef la stavano ragionando solo quindici giorni fa.
Non è un caso che Paolo Gentiloni, candidato forte alla poltrona di Commissario Ue, ieri abbia chiamato Giovanni Tria proprio per chiedergli notizie in proposito. Una telefonata che, dicono i ben informati, non necessariamente significa che il ministro dell'Economia uscente sarà riconfermato.
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