Come un Forlani in sedicesimo, il premier Conte parla alla Camera e poi al Senato e riesce a non dire nulla, ma lo dice con grande solennità.
La maggioranza, per evitare incidenti visto che il Movimento Cinque Stelle è in preda a coliche politiche e rischia di implodere sul Mes, è riuscita a derubricare l'appuntamento parlamentare di ieri mattina: così, le comunicazioni del premier sul Consiglio europeo di questo fine settimana, che avrebbero dovuto chiarire la linea del governo sull'utilizzo dei numerosi e generosi strumenti messi a disposizione dalla Ue per le economie più devastate dalla crisi Covid, vengono trasformate in una semplice «informativa». Obiettivo: evitare ogni voto parlamentare su risoluzioni nelle quali la parolina «Mes» avrebbe dovuto per forza fare capolino. Tutto rinviato a settembre, nelle intenzioni di un governo che non vuole rischiare incidenti estivi. Dura la critica di Emma Bonino: «Conte assumerà impegni in Ue senza uno straccio di mandato parlamentare e avendo impedito che le Camere si pronuncino. Così si umilia il Parlamento».
Conte parla in un'aula già semivuota, visto che non sono previste votazioni, e in più disertata per sfregio dalle opposizioni sovraniste: il «la» lo ha dato il partito meloniano di Fratelli d'Italia, rimasto fuori dall'aula, e la Lega segue a ruota il loro esempio uscendo in processione dopo l'intervento del capogruppo Molinari, che scaglia contro il premier i suoi anatemi: «Conte da avvocato è diventato il commissario liquidatore del Paese». Il premier si dice «confuso e disorientato» per la diserzione, mentre la capogruppo di Fi Gelmini prende le distanze: «Avremmo preferito votare, ma uscire dall'aula non è nel nostro stile».
Conte arriva munito di mascherina e legge il suo discorsetto. Ripete più volte che siamo «all'appuntamento con la Storia», e la maiuscola si sente, ma il succo è che il governo chiede un rinvio. Tanto, garantisce, questo Consiglio europeo «sarà di natura consultiva», e non scioglierà i nodi sul varo del Recovery Fund, quindi tanto vale aspettare il prossimo che «speriamo sia risolutivo». Strilli e fischi dalla platea. Del resto, si capisce dalle parole di Conte, anche l'Italia non è pronta: «Ho avviato un'ampia consultazione - declama - per elaborare un piano di rilancio da cui potrà essere preparato un più specifico Recovery Plan che l'Italia presenterà a settembre». Con tutta calma: prima di allora, il governo italiano non dirà né quali misure intende prendere, né quali strumenti vuole attivare. Si capisce che punta soprattutto sui «grant», i sussidi a fondo perduto, parolina che - con accento inglese maccheronico - Conte ripete più volte. Anche se, come ricorda il ministro dell'Economia Gualtieri, c'è già pronto sul piatto uno «strumento molto attraente, che ci farebbe risparmiare sugli interessi» come il prestito Mes, a condizioni vantaggiosissime, che consentirebbe di liberare decine di miliardi ora impegnati per le urgenze sanitarie e di investirli nell'economia. Ma Dibba è contrario, i Cinque Stelle sono nel caos e dunque nessuno ha il coraggio di chiederli: si attendono tempi migliori.
Il Pd, che pure sa quanto sarebbe prezioso attivare subito il Mes, si adatta. A ricordare che il paese non può attendere i tempi della maggioranza resta Renato Brunetta, che sottolinea come non sia stagione adatta ai rinvii: «Settembre è troppo tardi. Non voglio fermarmi agli errori passati, adesso è tempo del piano nazionale delle riforme, che deve diventare lo strumento per dialogare in Europa. Facciamo ora insieme il piano nazionale delle riforme, in Parlamento e non a Villa Pamphili. E anticipi la legge di bilancio».
Anche l'ex Pd Matteo Richetti, oggi con Calenda, stigmatizza il
rinvio: «Sono già due volte che il Parlamento non vota nessuna risoluzione perché Pd e M5s non hanno una parola unica su Mes e accesso ai finanziamenti europei. Fino a quando gli italiani dovranno pagare questa ambiguità?».
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