Ottenere un segnale da Palazzo Chigi e rivendicare una vittoria o allontanarsi dalla maggioranza senza provocare la caduta del governo. A due giorni dal test della fiducia in Senato sul Dl Aiuti, la strategia di Giuseppe Conte è talmente involuta da fare a pugni con la realtà. E a peggiorare la situazione, intorno all'avvocato di Volturara Appula, c'è un M5s che si muove in ordine sparso. Ci sono i governisti e gli ultras dello strappo, in mezzo una vasta zona grigia di attendisti, che aspettano una mossa dell'ex premier. Allo stesso tempo, il giurista pugliese vorrebbe evitare, almeno per ora, la rottura con Mario Draghi e mostrare un risultato ai ribelli che premono per l'uscita dal governo. Ma dopo l'uscita dall'Aula di ieri e le reazioni dei partiti, nel quartier generale del M5s sta cominciando a svanire l'illusione che un Aventino a Palazzo Madama possa essere indolore per le sorti della maggioranza.
Un deputato che staziona nella terra di mezzo di quelli che aspettano, spera in un colpo di scena da Palazzo Chigi. Magari in qualche buona notizia dall'incontro di oggi tra Mario Draghi e i sindacati. «Diciamo che ho avuto delle giornate migliori, comunque in queste ore è possibile tutto, speriamo in un contatto tra Draghi e Conte prima del voto di giovedì», dice sconsolato il parlamentare al Giornale. Dalle parti degli attendisti si spera in una mezza apertura dal premier sul salario minimo, tema rilanciato da Beppe Grillo sul suo Blog. Nella zona grigia di chi attende gli eventi ci sono anche gli uomini più vicini a Conte, ovvero i vicepresidenti Mario Turco e Michele Gubitosa, ma anche l'altra vice Alessandra Todde. Tra gli attendisti alcuni pesi massimi come Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro e Roberto Fico. Intanto ci si prepara a tutti gli scenari. Dall'uscita dall'Aula del Senato alle due strade intermedie che potrebbero scongiurare lo sfascio. La prima è un voto di fiducia al Dl Aiuti con una dichiarazione in cui si prendono le distanze dal provvedimento. La seconda prevede la non partecipazione al voto solo di una parte di senatori, con un'altra parte che invece vota sì. Con questo scenario metà dei senatori voterebbe la fiducia, l'altra metà uscirebbe dall'Aula. Sulla strategia in vista di giovedì Conte non si sbilancia e si limita a dire che il non-voto alla Camera «era una decisione che avevamo anticipato, nulla di nuovo». Oggi o domani il leader M5s convocherà il Consiglio Nazionale, mercoledì sera vedrà i senatori in assemblea.
L'ex premier deve tenere insieme spinte contrapposte. Ai lati degli attendisti giocano i ribellisti e i governisti. Il numero di questi ultimi sta crescendo nelle ultime ore. I «draghiani» sono circa una trentina solo alla Camera. Il più governista di tutti è il deputato Francesco Berti, l'unico a non uscire dall'Aula ieri, già dato in uscita verso Di Maio. È per la permanenza al governo anche l'ex viceministro Stefano Buffagni. Con lui il capogruppo alla Camera Davide Crippa, governista nonostante il discorso di ieri. Giocano con i pragmatici la deputata Federica Dieni e l'ex ministra della Salute Giulia Grillo, che ha chiesto il rimpasto a Draghi.
Sulle barricate i due vice di Conte Riccardo Ricciardi e Paola Taverna. Molti senatori sono in pressing per l'uscita dal governo. In prima linea Gianluca Ferrara, Gianluca Castaldi, Alberto Airola, la deputata Angela Raffa.
L'ex premier corre il rischio di perdere pezzi, qualunque scelta faccia. Se uscisse dall'esecutivo, quindici deputati raggiungerebbero Di Maio. Ma a Palazzo Madama almeno dieci eletti minacciano di non votare comunque la fiducia, al netto della decisione che prenderà il leader.
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