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Conte si sente sicuro ma mette le mani avanti. "Non ho la palla di vetro"

Il premier loda Fi ma trema per il rimpasto. Dem e renziani lavorano al piano "Ursula"

Conte si sente sicuro ma mette le mani avanti. "Non ho la palla di vetro"

I più impazienti, nel Pd, lo dicono esplicitamente: «La parola d'ordine è: Ursula». Laddove il nome della presidente della Commissione Ue viene utilizzato in chiave tutta italiana, per delineare un nuovo perimetro politico che inglobi tutte le «forze europeiste», quindi anche Forza Italia. «Non vedo scandali se sulle priorità del Paese in un momento di crisi si può andare oltre il perimetro della maggioranza», ragiona il dem Enrico Borghi.
E se la prima «maggioranza Ursula», al Parlamento europeo, servì per sospingere fuori dal governo (con la poco astuta collaborazione del diretto interessato) Matteo Salvini, stavolta l'agnello sacrificale potrebbe essere - nelle speranze di molti - Giuseppe Conte.

L'annuncio di intese in progress con il Cavaliere, tessute dai dem e benedette dal ministro dell'Economia, sui ristori per autonomi e partite Iva ha messo subito in allarme Palazzo Chigi. Dove le anticipazioni fornite ieri da La Stampa seminano immediatamente il panico da rimpasto. Il premier, dagli schermi di Otto e Mezzo, cerca di delimitare la questione per evitare contraccolpi: «C'è da tempo un dialogo con Fi in Parlamento. Io lo auspico, come con tutte le forze di opposizione. Hanno detto che il confronto lo vogliono in Parlamento - mette le mani avanti - e io sono e sarò disponibile». Manda messaggi flautati a Berlusconi: «Devo riconoscere che Forza Italia si è predisposta per un dialogo costruttivo. E ha anche spiegato - aggiunge speranzoso - che non vuole allargare la base del governo, ma restare all'opposizione. È emerso il loro senso di responsabilità». Si mostra sicuro di poter mettere la situazione virus sotto controllo «Ci sono i primi segnali positivi», anche se ammette: «Il governo non ha la palla di vetro».

Poi annuncia che «a febbraio presenteremo il piano nazionale italiano per il Recovery Fund», quello che era stato promesso a novembre. «Siamo un poco in ritardo», ammette, «ma abbiamo una interlocuzione settimanale con la Commissione Europea». Critica blandamente i sindacati sul surreale sciopero del Pubblico impiego: «Non credo sia il momento giusto». E si slancia a promettere «l'apertura delle scuole prima di Natale», onde poterle subito richiudere.

Conte sa benissimo che non è necessario che Fi entri ufficialmente in maggioranza per ridare spinta alla richiesta di un «esecutivo più forte», come già ha messo nero su bianco Matteo Renzi (che oggi, avvertono i suoi, tornerà alla carica denunciando che l'attuale governo «non è all'altezza» della sfida in corso). E Conte è convinto che il rimpasto, che dubita di essere in grado di gestire, possa essere l'anticamera per la sua defenestrazione. Il Pd non trattiene più l'insofferenza per l'immobilismo contiano. E ieri, all'ennesimo - e prevedibilissimo - nulla di fatto al «tavolo delle riforme» (quello che dovrebbe dare il via alla nuova legge elettorale e alle modifiche costituzionali necessarie a limitare i danni dell'inconsulto taglio dei parlamentari), i capigruppo dem Delrio e Marcucci sono partiti lancia in resta contro Palazzo Chigi. «Si deve procedere secondo le intese concordate. Che le lancette dell'orologio tornino di nuovo al punto di partenza è inaccettabile: al tavolo dei segretari col premier era stato deciso di andare avanti». E Conte si era assunto il ruolo «di garante», ricordano. Poi, come al solito, non è stato in grado di cavare un ragno dal buco.

«Ma non può far finta di nulla: stavolta dia un segnale», incalzano dalle parti del Nazareno.

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