Nessun obbligo ma poche regole che restano identiche per un lungo periodo. In modo che i cittadini le assimilino e si abituino. Il modello svedese inizialmente indicato come esempio di buona gestione della pandemia oggi è finito nel mirino delle critiche. Anna Mia Ekström epidemiologa presso il Karolinska Institutet impegnata soprattutto sulla frontiera della salute globale crede ancora nella strategia svedese. La ricercatrice partecipa in questi giorni al Festival della Salute Globale (on line sul sito www.festivalsaluteglobale).
Il primo ministro svedese Peter Lofven si è detto preoccupato per il rialzo della curva epidemica e ha introdotto altre misure di contenimento secondo lei sono sufficienti?
«Condivido le misure del primo ministro. In un certo senso la strategia svedese non è stata compresa perché la Svezia non ha imposto misure obbligatorie per gli individui ma ha puntato su un'adesione volontaria. Complessivamente la strategia di contenimento non è stata diversa da quelli di molti altri paesi: smarworking quando possibile, distanziamento fisico e sociale, misure igieniche. É stato chiesto di evitare sia eventi pubblici sia le riunioni private come feste e cene e di limitare al massimo l'uso dei trasporti pubblici. Bar e ristoranti rischiano la chiusura se non rispettano le limitazioni sull'affollamento. Misure simili con la differenza che noi le abbiamo adottate più al lungo affidandoci alla disponibilità dei cittadini a cambiare le loro abitudini. Di fatto il 90 per cento della popolazione ha aderito e ed è stato importante non cambiare continuamente strategia. Ora gente è costretta al chiuso per la stagione fredda e le persone si sono rilassate perché per lungo tempo i numeri sono stati buoni ma queste misure sono ancora considerate valide dalle autorità sanitarie».
Ritiene necessario chiudere le scuole?
«Non ci sono evidenze che indichino i bambini come fonte di contagio e i più piccoli hanno un rischio minimo di ammalarsi. Al contrario c'è grande preoccupazione per le ricadute che ha la chiusura delle scuole sul disagio infantile»
Si poteva evitare la seconda ondata?
«No, non lo credo. Questo è un virus con il quale il mondo deve imparare a convivere. Sappiamo che come allentiamo il duro lockdown il virus torna a crescere».
Quanto ha contribuito alla crisi l'incapacità dell'Europa e del mondo di procedere uniti?
«La mancanza di una risposta coordinata è stato un fattore determinante. I leader globali avrebbero dovuto agire con responsabilità e in modo solidale. Non nel modo al quale abbiamo assistito. L'Europa avrebbe dovuto condividere i dispositivi di protezione e i kit per i test fin dall'inizio»
Quando usciremo dalla crisi?
«L'epidemia rallenterà quasi fino a
spegnersi in primavera: avremo più persone immunizzate e i gruppi più a rischio vaccinati. Migliori terapie e clima più favorevole. Ma per liberarci dalle conseguenze della crisi Covid sulla salute globale ci vorranno anni».
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