Contestati 4mila euro in cene. Bonaccini dai pm: vado avanti

Il candidato alle primarie Pd in Emilia sotto accusa per i rimborsi va in procura per chiarire. La base si scatena su Facebook: vattene

Contestati 4mila euro in cene. Bonaccini dai pm: vado avanti

L' indagato renziano numero 1, Matteo Richetti, ha rinunciato. Il numero 2, Stefano Bonaccini, no. Lui tira dritto. Sarà anche finito nel libro nero della procura di Bologna nell'inchiesta sui rimborsi ai consiglieri regionali, ma che gl'importa. Ieri ha chiesto di essere ascoltato dai pm e dopo aver saputo che gli contestano circa 4mila euro, briciole a confronto dei 673mila euro sospetti a carico del gruppo Pd, Bonaccini ha deciso che non ritirerà la candidatura alle primarie del centrosinistra per scegliere il governatore. Sì, è indagato, ma appena appena. Nel Pd della doppia morale funziona così, non tutti gli indagati sono uguali.

Gli inquirenti gli contestano pranzi, cene e rimborsi chilometrici. Per il suo legale, Vittorio Manes, sono spese «legate all'attività amministrativa». Bonaccini proclama di essere «più sereno di prima perché abbiamo dato spiegazioni per qualsiasi eventuale addebito». In serata, dal palco della festa dell'Unità di Bologna, ribadisce: «Se mi accorgessi di non avere il sostegno del partito, sarei il primo a fare un passo indietro». Peccato che non ha sentito l'unico del gruppo dirigente che conta, cioè Matteo Renzi. L'inchiesta è una bomba a orologeria pronta a esplodere. Tutti la temono fuorché Bonaccini. Come Richetti si è ritirato anche il terzo candidato alle primarie, Matteo Riva, che ha peregrinato per tutto il centrosinistra fino ad approdare nel Centro democratico di Tabacci: anche lui avrà qualche scheletro nell'armadio. I grillini non vogliono Andrea De Franceschi, indagato come gli altri. E i militanti che si fanno sentire attraverso Facebook si scagliano contro il segretario regionale del Pd autosospeso in vista del voto: non vogliono un indagato per sostituire un condannato, Vasco Errani, dimessosi per lo scandalo Terremerse svelato dal Giornale .

Le liste del Pd emiliano-romagnolo sono in mano a due signore pm: Antonella Scandellari ha fatto condannare Errani mentre Morena Plazzi aveva provocato le dimissioni di Flavio Delbono. Hanno l'appoggio totale del procuratore capo Roberto Alfonso e dell'aggiunto Valter Giovannini. Ritorsioni contro il governo Renzi che vuole tagliare le ferie alle toghe? Giovannini ignora le provocazioni: «La Procura ha lavorato anche in agosto con serietà e in silenzio per chiudere le indagini», taglia corto. Smentite le ipotesi di una giustizia a orologeria perché sono stati Bonaccini e Richetti a terremotare il Pd.

La maxi-inchiesta sui rimborsi ai consiglieri regionali è del 2012. In altre regioni si è già a processo, qui i fascicoli sono ancora aperti. La procura di Bologna è prudente, cioè lenta. Nell'ottobre 2013 ha iscritto nel registro degli indagati tutti i nove capigruppo: Pd, Pdl, Udc, M5S, Lega, Sel-Verdi, Idv, Misto, Federazione della sinistra. Da allora né un avviso di garanzia né un interrogatorio. Gli altri indagati non sono stati avvisati perché gli inquirenti non volevano chiasso.

Ma i due rivali sapevano di non avere la coscienza immacolata. E allora, meglio controllare subito piuttosto che affrontare uno scandalo devastante in piena campagna elettorale. L'ha confermato ieri il procuratore Giovannini: «Le istanze ex 335 del codice di procedura sono giunte lunedì e martedì scorsi dai difensori di Bonaccini e Richetti, i quali hanno immediatamente ottenuto le certificazioni richieste». È risultato così che sono otto i consiglieri Pd indagati per peculato.

Le prime dimissioni, l'anno scorso, erano state di un altro Pd, l'allora capogruppo Marco Monari. Con il collega Roberto Montanari aveva speso 900 euro per noleggiare una limousine da Napoli ad Amalfi (60 chilometri) per partecipare a un seminario con Dario Franceschini. Due notti in albergo a Venezia erano costate altri 1.100 euro. In 19 mesi Monari aveva speso 30mila euro in cene mettendo in conto alla Regione perfino i galà di beneficenza per i malati di tumore.

Nelle spese pazze dei consiglieri emiliano-romagnoli (1,8 milioni di euro) c'era di tutto, corone di fiori per un funerale e asciugacapelli, televisori e microonde, vino e penne, consulenze personali e gioielli Tiffany, perfino ricevute di cene svoltesi la stessa sera in città diverse. Tutto sul groppone dei contribuenti dell'Emilia Romagna.

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