E pensare che appena pochi giorni fa, il 31 dicembre, la Corte europea dei diritti dell'Uomo aveva inserito il «caso Contrada» tra le vicende simbolo di un principio fondamentale: no punishment without law, nessuno può essere condannato senza una legge che lo preveda, una legge che deve essere in vigore quando il fatto viene commesso. E quando Bruno Contrada, già capo della Squadra Mobile di Palermo ed ex agente del Sisde, avrebbe «concorso dall'esterno» in Cosa Nostra quel reato non esisteva. Quindi Contrada non poteva essere condannato.
Grazie a quella sentenza, Contrada nell'aprile scorso ottenne 670mila euro di risarcimento per ingiusta detenzione. Saggiamente, non li incassò: perché ieri arriva la decisione della decisione della Cassazione che fa dietrofront. Per la nostra Cassazione la decisione della Corte europea non basta a fare di Contrada la vittima di una ingiustizia colossale, non gli fa meritare il risarcimento che la legge prevede per chi finisce in carcere senza motivo. Eppure in cella Contrada passò quattro anni e mezzo, altri due e mezzo li scontò ai domiciliari; quando tornò libero, a pena espiata, era l'ombra di se stesso.
Il 7 aprile dello scorso anno, quando la Corte d'appello di Palermo gli riconobbe il risarcimento, Contrada non festeggiò: «Non ci sono soldi per pagare le sofferenze che la mia famiglia ha subito», disse. Ma quei soldi erano comunque un risultato importante, era lo Stato che riconosceva di avere sbagliato, trattando un suo servitore come un mafioso. Ma proprio per questo alla Procura di Palermo quella decisione parve inaccettabile: come se il risarcimento a Contrada fosse una sconfessione intollerabile del suo operato, lo sgonfiamento finale di un processo clamoroso dove si credette più alla parola dei pentiti che di galantuomini come il capo della polizia Vincenzo Parisi, venuto in aula a difendere l'onore del collega.
Così la Procura generale di Palermo ha impugnato il risarcimento a Contrada, chiedendone l'annullamento. E ieri viene accontentata, almeno per ora. La quarta sezione penale della Cassazione annulla con rinvio il provvedimento, ordinando un nuovo giudizio da parte di altri giudici della Corte d'appello di Palermo. Non è una chiusura definitiva, né poteva esserlo; l'avvocato di Contrada, Stefano Giordano, ipotizza che la Cassazione non abbia trovato sufficientemente motivata la decisione. Ma già questo sarebbe singolare, perché sulla ingiustizia degli anni passati in carcere da Contrada - e con essi dell'intero processo, dell'accusa, della condanna - la Corte di Strasburgo non aveva avuto incertezze. Tra il 1978 e il 1988, negli anni al centro del processo a Contrada, esisteva una zona grigia in cui gli uomini dello Stato potevano muoversi per il loro lavoro senza violare la legge: i pm che teorizzavano il «concorso esterno» come nuovo reato venivano regolarmente sconfessati dalle sentenze definitive. Solo a partire dall'ottobre 1994, sei anni dopo l'ultimo episodio contestato a Contrada, le Sezioni Unite aprirono le porte alle tesi della Procura palermitana.
«L'aspetto più singolare - dice Giordano - è che la Cassazione smentisce se stessa, perché tre anni fa aveva revocato la condanna di Contrada, in
applicazione della sentenza di Strasburgo. Ora ci sarà una nuova decisione. Ma visti i tempi, e visto che Contrada ha novant'anni, ed è molto malato, questo risarcimento forse non lo vedrà mai. Al massimo, i suoi eredi».
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