L'uomo dei misteri (e dei guai) è di nuovo in Italia. Emigrante giudiziario di ritorno, Francesco Corallo è atterrato ieri pomeriggio all'aeroporto di Fiumicino, a Roma, scortato da agenti del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia del ministero dell'Interno. Non finirà in carcere perché sono scaduti i termini di custodia cautelare, ma non potrà lasciare il Paese e sarà sottoposto al doppio obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria.
Nove mesi dopo l'arresto scattato a Saint Martin, nelle Antille olandesi, il 13 dicembre 2016, nell'ambito dell'operazione «Rouge et noir» il re delle slot machine è finalmente a disposizione dell'autorità giudiziaria che lo ha inseguito per mezzo mondo. La Procura di Roma (aggiunto Prestipino, sostituto Sargenti) gli contesta il reato di capo e promotore di una «associazione a delinquere a carattere transnazionale» specializzata nel «riciclaggio di grosse somme di denaro ricavate dal mancato versamento delle imposte sugli introiti». La cifra indicativa è di circa 200 milioni di euro.
Il nome e la posizione giudiziaria di Corallo sono legati, anzi intrecciati, all'inchiesta gemella che vede indagati non solo l'intera famiglia Tulliani (Elisabetta, Giancarlo, ancora latitante a Dubai; e il papà Sergio) ma soprattutto l'ex presidente della Camera ed ex leader di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini. Tutti devono rispondere di riciclaggio. L'imprenditore siciliano è il perno di quello che le carte processuali di questi mesi tratteggiano come un sistema criminale in grado di contrabbandare affari a otto zero in cambio di protezioni politiche e agevolazioni legislative.
Se decidesse di parlare, Corallo, potrebbe spiegare se l'ipotesi messa nero su bianco dal gip Simonetta D'Alessandro, che ha disposto il sequestro di due polizze vita intestate al politico per un milione di euro, corrisponda alla realtà. E cioè che egli stesso elargisse alla famiglia Tulliani i cui componenti sono indicati come «prestanome» di Fini milioni e milioni di euro per garantirsi «l'agognata tranquillità commerciale» o meglio la «tranquillità predatoria» per sé e le sue aziende, concessionarie in Italia per l'installazione dei videopoker e «beneficiarie», secondo l'impostazione accusatoria, di interventi di favore promossi dagli uomini più vicini a Fini. Uno scenario in cui Corallo avrebbe agito attraverso la «compartecipazione societaria di un soggetto in grado di dispiegare un'elevatissima protezione politica».
Corallo potrebbe spiegare inoltre quel che c'è dietro la casa di Montecarlo, eredità della contessa Anna Maria Colleoni che An svendette a due società offshore, riconducibili a Tulliani jr e costituite in fretta e furia con una quota parte del denaro da girare ai Tulliani. Ricorda il deputato Amedeo Laboccetta, in un interrogatorio ai pm di Roma, che in occasione di un incontro negli appartamenti privati di Fini a Montecitorio nel 2008 presenti Elisabetta e Giancarlo, lo stesso Laboccetta e Francesco Corallo l'allora presidente della Camera disse che «lui ed Elisabetta desideravano una casa proprio a Montecarlo e aggiunse testualmente: Siamo certi che vorrai aiutarci ad esaudire questo nostro desiderio. E Corallo si dichiarò disponibile».
Secondo Laboccetta, i rapporti tra Corallo e Fini sarebbero assai antecedenti alla relazione tra Gianfranco ed Elisabetta e risalirebbero al 2003-2004. Quando, a curare i rapporti con l'imprenditore caraibico, erano alcuni fidatissimi dell'entourage del leader di An. Poi ci fu lo spin-off tra politica e famiglia con l'entrata in scena dei Tulliani's.
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