Corea, la strategia di Trump: psicologia, diplomazia e armi

Il presidente con Kim gioca su tre tavoli. Dice di capirlo, lo invita al dialogo ma fa alzare in volo i bombardieri

Corea, la strategia di Trump: psicologia, diplomazia e armi

Non bisogna scoraggiarsi di fronte ai colpi di scena di Donald Trump, ma seguire il filo rosso che lega pensiero e azioni del presidente che ha appena varcato la soglia dei cento giorni. «The Donald» gioca sempre su tre tavoli: quello dell'intuizione psicologica, quello diplomatico e quello militare. Somiglia in questo a Teddy Roosevelt, lontano parente del più famoso Theodor Delano, che agitava sempre il «nodoso bastone» della forza militare sussurrando parole di pace. E dunque ieri Trump, dopo aver assunto un tono paternalistico nei confronti del «povero ragazzo» Kim Jong-un, il bizzarro dittatore della Corea del Nord, gli ha anche spedito a volo radente alcuni bombardieri ai limiti dello spazio aereo di Pyongyang facendo infuriare non soltanto Kim ma anche i cinesi. Poi ha fatto pace per telefono con Vladimir Putin per ricucire lo strappo del bombardamento missilistico sulle piste militari siriane, mentre sul piano diplomatico ha lanciato una avance ai limiti della decenza nei confronti del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte (accusato di far giustiziare per strada gli spacciatori di droga) perché le Filippine sono forti partner commerciali della Corea del Nord.

Antefatto: Trump si è invaghito del presidente cinese Xi Jinping dopo averlo avuto ospite nel suo resort di Mar-A-Lago in Florida. E quando Kim Jong-un, il coreano, ha tentato di lanciare due giorni fa un nuovo missile, la prima reazione di Trump è stata furbamente psicologica: «Ma questo è un affronto per il presidente cinese!» ha detto irritando come è ovvio Xi, che non desidera essere tutelato da Trump. L'irritazione cinese d'altra parte era già molto forte a causa del dispiegamento americano del sistema antimissile Thaad su un campo da golf della Corea del Sud (con scatenamento di cortei di pacifisti infuriati) e poi a causa dei voli dei bombardieri strategici B-1B. Pechino si irrita, ma non poi troppo: Xi ha spiegato con calma a Trump che non vuole essere il tutore dello sciagurato Kim e delle sue follie, cosa che ha subito dimostrato tagliando l'import di carbone nordcoreano, cioè la più sostanziosa risorsa economica per Pyongyang e poi ha lasciato intendere che l'oggetto del suo desiderio non è la Corea del Nord ma quella del Sud con cui vuole intensi rapporti d'affari in competizione con gli stessi americani.

In questo quadro già complicato ecco che emerge il nuovo Giappone che riforma la vecchia Costituzione pacifista e disarmata scritta per loro dal generale americano Douglas McArthur e che adesso autorizza l'addestramento di truppe pronte a rispondere alla minaccia nordcoreana. Questo ritorno del Giappone armato sulla scena fa una certa paura a tutti, perché la Corea è stata per decenni una colonia giapponese e di quella lunga occupazione non restano buoni ricordi.

Quanto al fattore psicologico, non è la prima volta che Trump gioca la carta dell'empatia per allacciare un rapporto con il giovane dittatore del Nord. Ha studiato la sua drammatica biografia e ha detto più volte di aver capito quanto drammatica sia stata la sua esistenza, aggiungendo di volerlo rassicurare sia sul fatto che gli Stati Uniti non si faranno intimidire dalle bravate missilistiche, ma che allo tesso tempo sono pronti ad aiutarlo per uno sviluppo pacifico e prospero: «Sarei onorato di riceverlo alla Casa Bianca» ha detto Trump eccedendo e facendosi poi correggere dai suoi portavoce. Ma l'attivismo in Estremo Oriente si accompagna all'attivismo in Medio Oriente che ha portato a uno scontro a muso duro con Vladimir Putin, dando per un mese l'impressione che l'idillio tra Casa Bianca e Cremlino fosse finito. Ora il rapporto è ricucito proprio mentre quello con i cinesi è rilanciato e mentre la Corea è costretta a riflettere sul suo futuro: guerra o pace? È evidente che l'armata cyber-segreta degli americani riesce ormai a far esplodere i missili nordcoreani al momento del lancio ed è evidente che Pyongyang è a corto risorse di economiche (malgrado la sfrenata attività edilizia).

Pyongyang sa di non poter contare su Pechino e che Pechino non vede l'ora di tradirla con Seoul in una competizione tecnologia da cui per ora è esclusa. La partita è apertissima e Donald gioca ogni mossa sul filo del rasoio, con una pistola in una mano e un fiore - probabilmente di plastica nell'altra.

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