"Ora corridoi umanitari per evitare morti in mare"

IlGiornale.it intervista Daniela Pompei, ideatrice del progetto della Comunità di Sant'Egidio che inaugura una nuova forma di accoglienza, con l'ingresso dei migranti in Italia, per canali regolari: "Così evitiamo i morti in mare e criminalità"

"Ora corridoi umanitari per evitare morti in mare"

Un’iniziativa che nasce dalla volontà di mettere la parola fine alle morti nel Mediterraneo e allo sfruttamento dei trafficanti di uomini che fanno affari sulla vita delle persone. Ma anche da un’esigenza di sicurezza, ovvero quella di sapere attraverso controlli preventivi e il dialogo con una rete di Ong, associazioni e istituzioni presenti nei Paesi d’origine, chi farà ingresso nel nostro Paese. Per questo l’Italia ieri è stato il primo Paese, nell’Europa dei muri e delle “giungle”, ad inaugurare i corridoi umanitari voluti dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e dalla Tavola Valdese, che con il supporto del ministero degli Esteri e dell’Interno, porteranno nel nostro Paese, nell’arco di 24 mesi, 1.000 richiedenti asilo. Ieri sono atterrati a Fiumicino i primi 93 profughi siriani, metà dei quali bambini, ai quali le associazioni sono pronte a fornire accoglienza, istruzione, cure mediche e specifici percorsi di integrazione.

IlGiornale.it, ha intervistato Daniela Pompei, responsabile per le attività legate ai migranti della Comunità di Sant’Egidio, ideatrice di questo progetto che punta ad allargarsi a tutti i Paesi dell’Unione Europea.

Ieri Gentiloni ha definito il vostro progetto “un messaggio all’Europa” per la gestione della crisi migratoria. Perché i corridoi umanitari possono essere una soluzione?

È impensabile che l’immigrazione possa essere fermata con i muri. Siamo dinanzi ad una sfida epocale che nasce da problemi seri come la guerra in Siria ed in Iraq, che stanno producendo il più alto numero al mondo di rifugiati. Per questo dobbiamo impegnarci aldilà del Mediterraneo, in Paesi come il Libano, il Marocco e l’Eritrea, dove, per diversi motivi, si registra il più alto numero di partenze. Qui bisogna lavorare per garantire a chi ne ha bisogno, un canale di ingresso regolare.

Lei parla di persone che fuggono da aree di conflitto, ma ci sono anche molti migranti che vogliono raggiungere il nostro Paese per motivi economici. Come si fa con loro?

È vero, i migranti arrivano in Europa per diversi motivi. Noi con il nostro progetto abbiamo voluto individuare quelli che si trovano in condizioni di estrema vulnerabilità, che fuggono dalla guerra o che hanno urgente bisogno di cure mediche. Ma anche per quanto riguarda i migranti economici c’è bisogno di predisporre delle modalità di ingresso regolari. Gli stati europei si stanno avviando verso un processo di invecchiamento e hanno bisogno del contributo economico e lavorativo dei migranti. Per questo è auspicabile l’introduzione di un sistema che regoli gli ingressi attraverso delle quote per ciascun Paese, e magari di un’agenzia europea che regoli il flusso dei migranti dai loro Paesi d’origine. In questo modo ci sarebbe più sicurezza per loro, che arriverebbero in Italia in modo sicuro e non sui barconi, e più sicurezza per noi, che, attraverso i controlli, sapremo chi sarà ad entrare nel nostro Paese.

I Cristiani sono i più perseguitati in Siria e in Iraq. Avete pensato a dare loro priorità nell’accoglienza?

Questo va considerato, sebbene la guerra colpisca sia i musulmani sia i cristiani, questi ultimi sono molto colpiti. Nel gruppo di persone in estrema necessità che è arrivato ieri infatti, ci sono alcuni cristiani, ma anche musulmani. Così come anche nei prossimi gruppi che arriveranno ci saranno cristiani. Il nostro è un progetto sperimentale, ma ha già raggiunto i primi risultati: con gli arrivi di ieri ad esempio siamo riusciti a svuotare un piccolo campo profughi ad Homs.

C’è qualcuno che ha detto di voler tornare nel proprio Paese alla fine della guerra?

Molti vogliono solo curarsi, curare i propri figli e tornare indietro. Molti di loro sono davvero costretti a venire in Europa. Questo emerge dal fatto che molti siriani hanno cominciato a partire solamente dopo due anni dall’inizio del conflitto. Prima, infatti, si rifugiavano nei Paesi limitrofi nell’attesa della cessazione delle ostilità. Molti dicono di voler tornare in Siria, ma ci sono anche altri, quelli che partono con tutta la famiglia, che pensano invece di rimanere in Italia perché si sono rassegnati al fatto che la situazione nel loro Paese non cambierà. Tutti loro hanno però chiesto di poter andare a scuola di italiano, mostrando una forte propensione all’integrazione.

Chi finanzia i progetti di accoglienza e di integrazione?

Per il momento ci sono due canali, quello dell’8xmille della Tavola Valdese, che ha stanziato un milione di euro, e le nostre collette promosse in Italia e in Europa. La comunità di Sant’Egidio ha destinato anche il suo 5xmille a questo progetto. Il governo italiano, inoltre, non sostiene alcun costo per questa iniziativa. E poi abbiamo ricevuto delle agevolazioni, come ad esempio quella di Alitalia, che per il volo di ieri che ha portato i rifugiati da Beirut a Roma, ci ha fatto pagare solo le tasse aeroportuali.

Chi ospiterà i 93 rifugiati?

I migranti saranno sistemati nelle strutture messe a disposizione dalle nostre associazioni, dalle nostre comunità, dalle diocesi e dalle parrocchie. La provincia autonoma di Trento, ad esempio, ha stanziato dei fondi per il progetto, e la diocesi di Trento ha messo a disposizione case e volontari. Questa è anche una risposta a quello che ci ha chiesto Papa Francesco.

A quando il prossimo corridoio?

Già il mese prossimo abbiamo organizzato un altro volo che porterà rifugiati siriani e iracheni provenienti dai campi profughi del Libano.

I numeri dei flussi migratori rimangono però emergenziali. Pensate che debbano essere messi dei paletti all’accoglienza, oppure no?

Nel 2015 sono entrati in Europa un milione di persone su 508 milioni di abitanti. Praticamente il 2 per mille dei cittadini dell’Ue. Noi per ora diamo risposta ad un piccolo numero ma siamo pronti ad allargare il nostro progetto a numeri più consistenti, estendendolo a tutti i Paesi dell’Unione. Il nostro è un progetto pilota, infatti, che può essere replicato a livelli europei. Per farlo non c’è bisogno di introdurre nuove leggi, ma utilizzando l’art. 25 del Regolamento visti dell’Ue, tutti i Paesi europei potranno accogliere in questo modo.

Il problema migratorio è complesso e richiede risposte diversificate, ma bisogna dare la possibilità di entrare tramite canali regolari per sconfiggere i canali gestiti dalla criminalità, e adottare un sistema per quote per cui la responsabilità non cada sui Paesi più esposti geograficamente come l’Italia, la Grecia o la Spagna. Con l’alternativa presentata dal nostro progetto, eviteremo in futuro situazioni come quelle della Macedonia o di Calais e garantiremo ai Paesi europei sicurezza e integrazione.

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