Politica

La corsa al Colle rallenta SuperMario

Il premier sposta la riforma delle concessioni "Prima la mappa, poi verranno le decisioni".

La corsa al Colle rallenta Super Mario. È la stagione dei rinvii

Rinvia e mappa, mappa e rinvia. Mario Draghi negli ultimi tempi si sta muovendo con più cautela. È come se il suo motore avesse perso un po' di potenza. Lo si vede su alcuni punti cruciali di questo autunno che si avvia a finire. Se incontra ostacoli politici troppo ingombranti sceglie di girarci intorno o li sposta un po' più in là. È stato lui stesso, dopo il consiglio dei ministri di ieri, a spiegare la tattica. Si è appellato al principio della trasparenza. Non tutto, sottintende, si può fare subito. È per questo che dalla riforma della concorrenza ha tenuto fuori un po' di settori: i balneari, i tassisti, le acque termali e minerali, le frequenze. È necessario prima fare una mappa di tutte le concessioni. È utile per capire. È lo stesso approccio avuto con il catasto. «I cittadini potranno così verificare quanto ciascun concessionario paghi per esercitare la sua attività». Trasparenza, appunto. Il vantaggio politico è il «ci penserò domani». È insomma un Draghi inedito, in versione Rossella O'Hara. È lo spirito da via col vento. «Nel recente passato - dice - i governi italiani hanno preso due strade sul fronte della concorrenza. Alcuni hanno provato a passare delle misure molto ambiziose senza però cercare il consenso politico. Il risultato è stato che in larga parte questi provvedimenti non sono stati attuati, anche per l'opposizione di tanti gruppi d'interesse. Altri governi hanno invece ignorato la questione». La terza via di Draghi è il più classico «conoscere per deliberare». Ci sta. È però anche il segno di una ricerca più frequente del compromesso con i partiti. Non è il momento di inasprire il confronto. È successo con il reddito di cittadinanza, nonostante i dubbi dell'Europa e il totale fallimento sul fronte della formazione e della ricerca di lavoro. Qualcosa di simile si vede anche nella stesura della legge di bilancio, dove i temi più scottanti sono stati rinviati. È una discontinuità rispetto al recente passato. Draghi finora era riuscito a tenere a bada i mugugni della maggioranza. Cosa è cambiato? Il sospetto è che c'entri qualcosa la corsa per il Quirinale.

Draghi nasconde la sua candidatura. Non ne parla, sottolineando che il Colle non è disabitato. I giorni però passano e febbraio non è poi così lontano. La sfida per la successione è iniziata da tempo e Draghi ci sta pensando. È così che i voti cominciano a pesare. È meglio non irritare i Cinque Stelle o deludere il Pd o aprire solchi con la Lega e così via. È meglio segnare il passo, soppesare. Non è oltretutto facile muoversi sul terreno della politica. L'equilibrio è instabile. Gli stessi partiti stanno vivendo fermenti e metamorfosi. La Lega di Salvini non è la stessa di Giorgetti, Conte non controlla i parlamentari grillini e Letta si sente minacciato da chi nel Pd non ha ancora dimenticato Renzi. Poi c'è l'incertezza di ogni singolo deputato e senatore che continua a chiedersi «cosa sarà di me domani?». Questo clima sarebbe irrilevante se Draghi non avesse voglia di traslocare. È chiaro che non è così. Fino a quando la partita sul presidente della repubblica non sarà definita l'azione di governo subirà ritardi. La strada dritta diventa un percorso panoramico.

Certe cose si sentono. I numeri a sostegno del governo sono sempre alti. I sì al decreto legge sulle infrastrutture al Senato sono stati 190, ma l'asticella è sicuramente più bassa rispetto al plebiscito che Draghi ottenne (262 i voti favorevoli) al momento della fiducia. Tra i 72 sì che mancano c'è anche chi sta cercando di dire qualcosa: non darmi per scontato. I voti per il Quirinale non passano solamente dai partiti. È una trattativa e adesso coinvolge anche il governo. Draghi non è in difficoltà, ma viene percepito meno intoccabile. Un segnale arriva, per esempio, dai Cinque Stelle. I senatori grillini proprio ieri hanno presentato un'interrogazione parlamentare. Chiedono al presidente del consiglio se è «consapevole dell'assenza di trasparenza sul piano nazionale di ripresa e resilienza».

L'accusa, perché di questo si tratta, è di non coinvolgere il Parlamento e invitano Draghi a comparire a Palazzo Madama».

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