La corsa di Draghi che avvicina le elezioni

Mancano 45 giorni alle presidenziali e il sistema è già impazzito. Tutti i partiti lavorano al «piano B» in caso di voto: Conte che cerca un seggio, i centristi che si smarcano e il centrodestra sempre più diviso

La corsa di Draghi che avvicina le elezioni

A circa 45 giorni dalla convocazione del Parlamento in seduta comune per eleggere il successore di Mattarella, il sistema già inizia a registrare più di un corto circuito. Che Draghi sia in corsa per il Colle e che sul tema il premie non dica una parola chiara neanche nelle sue rare interlocuzioni con i leader della maggioranza che sostengono il governo, infatti, è questione che da settimane ha mandato in tilt i vertici di tutti i partiti. Al punto che ormai nessuno nasconde di ragionare sul cosiddetto «piano B» che si fa se Draghi va al Quirinale? - piuttosto che muoversi per trovare una sintesi in vista di quello che nella terza settimana di gennaio sarà il passaggio cruciale della legislatura. Sintetizzando, la disponibilità - nonché la legittima aspirazione dell'ex numero uno della Bce a trasferirsi da Palazzo Chigi al Colle sta provocando una reazione a catena nella quale tutti i partiti si stanno organizzando come se le elezioni anticipate non fossero più un'ipotesi di scuola ma una possibilità concreta. E questa circostanza - qualcuno nello staff di Draghi l'ha fatto presente al premier rischia seriamente di avvicinare uno scenario che in verità nessuno vorrebbe.

Se l'ex Bce andasse al Colle, infatti, il quadro politico andrebbe incontro ad un big bang. E non solo nell'ipotesi che non si riuscisse a mettere su un nuovo governo, perché una futura maggioranza senza Draghi premier perderebbe quasi certamente la Lega e dipenderebbe numericamente da Fi o Iv. E avrebbe come primo obiettivo quello di varare una riforma elettorale proporzionale. Politicamente, insomma, una sorta di anno zero. Ecco perché la sola candidatura quirinalizia di Draghi - semplicemente la possibilità che ci voglia provare - sta mandando in corto circuito il sistema. Indebolendo il quadro, tanto che ieri cogliendo il clima di grande confusione - Cgil e Uil hanno proclamato uno sciopero generale per il 16 dicembre.

Insomma, nel silenzio di Draghi - più volte chiamato in causa nella partita quirinalizia da ministri a lui molto vicini e dai quali non ha mai ritenuto di prendere le distanze- lo scenario politico sta sempre più assomigliando a una maionese impazzita. La tentazione di Conte - non nuova, perché risale a luglio, come allora riportato da alcuni giornali - di correre nel collegio della Camera di Roma lasciato libero da Gualtieri ne è la conferma implacabile. Ieri il leader M5s si è chiamato fuori, ma solo perché ha messo a fuoco che contro di lui avrebbe corso Calenda, per giunta appoggiato da Renzi. Ha rinunciato, insomma, perché la partita non era win-win come immaginava. Non fosse stato così, Conte era pronto a correre per la Camera nelle suppletive del 16 gennaio. Cioè una manciata di giorni prima del Quirinal game. E tanto il sistema scricchiola che Calenda e Renzi non si erano tirati indietro. E, pur di stopparlo, erano pronti a spaccare il centrosinistra proprio nella settimana del voto sul Quirinale. Con evidenti ricadute: sul Colle, ma anche su un eventuale governo dopo-Draghi.

Il sistema, dunque, scricchiola. Semplicemente perché è impossibile convivere con due scenari opposti: Draghi premier o Draghi capo dello Stato sono l'alfa e l'omega. Solo di questo discutono i partiti.

Ieri, per dire, Tajani spiegava che «senza di lui la maggioranza non starebbe insieme», mentre Conte lo spingeva ad andare avanti perché «ha molto da fare». La sintesi, forse, sta nelle parole di Prodi: «Il primo passo è la decisione di Draghi».

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