«Noi abbiamo rinunciato a molte questioni, adesso bisogna fare un po' per uno». Il valzer delle poltrone (possibili) continua anche nel giorno decisivo delle consultazioni e di nodi ancora irrisolti sul tavolo del governo M5s-Pd. Un po' per uno, dice Andrea Orlando, nei desiderata del Pd vicepremier unico in pectore. Il muro di Luigi Di Maio e dei suoi però rimane e continua a fare da ostacolo sulla strada giallo rossa. Il posto di vicepremier è suo, ripetono i grillini. L'offerta ribadita al Pd è quella di un posto per un secondo vice, parigrado. Irricevibile per i dem, che al grido di «discontinuità» e di no a «governi staffetta» non vogliono cedere ulteriormente, nonostante in cambio ci siano ministeri di peso. Dopo aver digerito Giuseppe Conte, che ritengono un premier non terzo come vorrebbe invece essere considerato l'avvocato del popolo, ma organico al Movimento, non accettano che il suo secondo sia Di Maio. «Non ci sono né veti né attacchi alle persone, tant'è che si parla di Di Maio come ministro», dice Orlando. Come ministro e basta, appunto. Si dice della Difesa, anche se il capo politico del M5s vorrebbe tenersi i suoi due ministeri, Lavoro e Sviluppo economico per portare avanti quanto fatto finora. I democratici vorrebbero come vicepremier unico in alternativa allo stesso Orlando Dario Franceschini, che potrebbe avere anche la delega ai rapporti con il Parlamento. Nel caso si optasse per il secondo, al primo potrebbe andare la carica di sottosegretario alla Presidenza del consiglio.
Il Pd reclama sette dicasteri tra cui anche il Viminale, con le quotazioni alte del tecnico Franco Gabrielli, attuale capo della polizia, gradito ad ambo i fronti dal quale passerebbe il dossier dei decreti sicurezza che il Pd vuole smontare. Ma è proprio l'attuale ruolo che ricoprire che potrebbe far frenare. Ci sono in lizza anche l'ex ministro Marco Minniti, fautore del primo codice condotta per regolamentare le attività ong, e l'ex capo di gabinetto del Viminale Mario Morcone.
I dem vogliono poi lo Sviluppo economico, con la vice segretaria Paola De Micheli che Zingaretti spinge per far entrare nel esecutivo. Per il Lavoro, qualora Di Maio fosse disposto a lasciare, si fanno i nomi di Tommaso Nannicini e Teresa Bellanova. Alla Giustizia dovrebbe rimanere l'attuale ministro Alfonso Bonafede così come alla Salute Giulia Grillo, e all'ambiente Sergio Costa, nonostante siano diversi i malumori interni al Movimento soprattutto dell'ala che fa riferimento a Roberto Fico, da cui arrivano richieste di discontinuità sui ministeri grillini. Tanto che sarebbe entrato nel totoministri anche un critico nei confronti dell'accordo con il Pd come Nicola Morra, presiedente della commissione Antimafia, che Di Maio vorrebbe coinvolgere nella nuova compagine di governo. Anche l'economia è reclamata dal Pd, ma potrebbe rimanere al suo posto Giovanni Tria, considerato un non politico. In ballo ci sono però profili alti come quelli di Lucrezia Reichlin, Pier Carlo Padoan, e resiste il nome di Enrico Giovannini.
Per gli Esteri, anche questo appannaggio del Pd, ci sono Paolo Gentoloni, non dovesse diventare commissario europeo, e l'eurodpeutato Roberto Gualtieri. Quasi certo viene dato il trasloco del capogruppo M5s Stefano Patuanelli alle Infrastrutture.
Per il sottosegretario del M5s Vincenzo Spadafora si ipotizza la promozione a ministro delle Pari opportunità, di cui oggi ha solo la delega.Ma dopo la «provocazione» di Beppe Grillo, che chiede che i ministri vengano scelti «nel mondo della competenza», crescono le quotazione dei tecnici.
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