L'Italia è un Paese che vivacchia tra tasse sempre più alte, spesa pubblica che non cala e crescita bassa, imbrigliata dall'assenza di riforme. Sembra uno scenario di 20 anni fa, l'elenco delle emergenze della Prima Repubblica e invece è l'Italia del 2015, secondo la Corte dei conti.
Nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica presentato ieri, i giudici contabili prendono di mira le previsioni di crescita contenute nel Documento di economia e finanza. Possibile che vengano centrate, sempre che si facciano le riforme. La vera crescita, quella che può tirare il Paese fuori dal pantano «non è conseguibile in assenza di interventi profondi, capaci di rialzare le dinamiche della produttività totale dei fattori».
La Corte non è pessimista: «Nell'ultimo trimestre sono emersi evidenti segnali di superamento della lunga recessione». E ci sono «elevate» possibilità che alla fine l'Italia raggiunga una crescita del Pil dello 0,7% quest'anno e dell'1,3% il prossimo. Ma quello che serve all'Italia è «una traiettoria macroeconomica ambiziosa», che la Corte quantifica in una crescita dell'1,5% e disoccupazione al 7%. Obiettivi conseguibili solo con interventi precisi.
La Corte cita un molto poco renziano «patto sociale» per ridefinire il welfare. In sostanza per tagliare le pensioni. Ma anche il ritorno a una sorta di concertazione. Appello subito accolto dai sindacati, ad esempio dal segretario generale della Cisl Annamaria Furlan, che chiede una «condivisione degli obiettivi con le forze sociali», anche per decidere tagli alla spesa pubblica.
La zavorra che impedisce al Paese di crescere è sempre li. Il fisco è stato il grande protagonista delle politiche economiche dei governi. Tra il 2008 e il 2014 si sono occupate di tasse «45 manovre di bilancio e specifiche iniziative legislative e 758 misure che fra maggiori e minori entrate hanno movimentato 520 miliardi». L'effetto sul deficit è stato un calo di 145 miliardi. Tutte tasse in più, quindi.
Confermato il boom del fisco locale. La quota di entrate da imputare alle autonomie locali «risulta quasi raddoppiata in 20 anni, dall'11,4% del 1995 al 21,9% del 2014». Il riferimento esplicito è a Imu e Tasi.
I giudici contabili non sono ottimisti sulla riduzione della spesa. «Non possono sottovalutarsi le difficoltà di realizzare pienamente il programma di spending review a motivo degli ampi risparmi già conseguiti per le componenti più flessibili e per il permanere di un elevato grado di rigidità nella dinamica delle prestazioni sociali».
Qualcosa è stato fatto con il blocco delle retribuzioni del pubblico impiego (sul quale peraltro pende una sentenza della Corte costituzionale), che ha avuto «effetti finanziari superiori alle attese», circa 8,7 miliardi di euro di riduzione in valore assoluto, cui si aggiunge la minor spesa per i mancati rinnovi contrattuali».
Niente è stato fatto sulle tax expenditures , le agevolazioni fiscali che tutti i governi vorrebbero tagliare, ma che nessuno alla fine ha
toccato. Al contrario, questa voce pesantissima del bilancio si è aggravata: 51 miliardi tra il 2008 e il 2015, a fronte di tagli per 11 miliardi. A parte a qualche decimale di Pil e tante tasse in più, l'Italia è ferma.