Corte dei conti in rosso Costa 309 milioni l'anno ne confisca 100 in meno

Il paradosso delle condanne mai eseguite: solo un euro su 5 torna nelle casse dello Stato

Corte dei conti in rosso Costa 309 milioni l'anno ne confisca 100 in meno

È il grande fratello della pubblica amministrazione. Il più grande controllore d'Europa. La corte dei conti mette il naso dappertutto: verifica ogni euro che esce dalle casse dello Stato e degli enti locali, passa al setaccio i bilanci di tutta la macchina pubblica, dunque un ventaglio surreale di 9 mila società. Un pachiderma che si muove lento e impacciato nel labirinto senza fine della pa, un esercito di generali che costa più di quel che rende. Certo, non si può misurare come un'azienda il lavoro dei raffinati giuristi che scrivono sentenze e sfornano relazioni, ma non c'è bisogno di sottili analisi per capire che qualcosa non quadra: la Corte va spesso sui giornali per le affilate critiche alle politiche economiche dei diversi governi, per le denunce della corruzione e del malcostume dilaganti, per le critiche serrate agli sprechi di un Paese irriformabile. Quando però si tratta di addentare l'osso dello scandalo, di arginare disastri e mazzette, quando insomma la corte svolge il suo ruolo, altissimo, di cane da guardia del nostro squilibratissimo sistema, ecco che il quadrupede si dimentica spesso e volentieri di abbaiare. Mai che anticipi la magistratura penale, mai che arrivi prima, mai che scoperchi il pentolone. Forse perché ha tanti compiti, troppi in un groviglio di competenze e screening senza fine. E poi quando finalmente si mette in moto, ci mette il suo tempo, tanto, troppo pure quello. I magistrati contabili vanno spesso sulle prime pagine perché azzannano con sequestri milionari il politico già abbattuto dai loro colleghi del penale e già transitato per le patrie galere, ma poi vai a sapere se quel sequestro diventa definitivo, insomma se il gruzzolo verrà confiscato e poi, che è quel che conta, effettivamente incamerato dallo Stato.

Anni e anni di sforzi. Inseguimenti dei creditori a oltranza. E poi il cerino della sentenza di condanna passa alle articolazioni dello Stato per la riscossione. È la regione che va a riprendersi i soldi rubati dall'assessore infedele e la provincia, ammesso che esista ancora, che va a recuperare i denari buttati da qualche amministratore esuberante. Un disastro nel disastro nazionale. Il solito pastrocchio all'italiana. Ci sarà pure un motivo se in Italia ci sono 33mila miliardi di contenziosi tributari, un totale incredibile: e la Corte inevitabilmente alimenta la ruota che troppo spesso gira a vuoto. Fra requisitorie che restano sulla carta, ricerca affannosa di creditori ormai svaniti, controlli solo formali che dicono tutto senza vedere nulla.

E, per assicurare questo compito immane e spesso poco produttivo, lo Stato spende più di quanto incassa. La Corte, con i suoi 2.400 dipendenti e 405 magistrati, naturalmente sotto organico per la quantità esorbitante di attività da svolgere, ha un bilancio di 309 milioni, i sequestri compiuti nel 2015 hanno raggiunto un importo di 209 milioni. I conti della Corte dei conti, si perdoni il bisticcio, sono in rosso più di quelli di tanti enti di cui i magistrati contabili sottolineano le anomalie. E si tratta di numeri inevitabilmente lontani dalla realtà, perché solo in parte quei valori sono destinati ad entrare nel portafoglio pubblico. Il gap è ancora più clamoroso se si prendono in considerazione le 1.275 citazioni, un po' l'equivalente degli avvisi di garanzia, che sulla carta ma solo su quella hanno afferrato, sempre nel 2015, 830 milioni di euro. Un tesoro virtuale che poi, fra un passaggio e l'altro, si assottiglia sempre di più fino a ridursi a poca cosa. Alla fine solo il 20% scarso delle somme stabilite dai giudici torna effettivamente nelle casse degli enti: centinaia di milioni di euro perduti per sempre.

Certo, negli ultimi tempi una spolverata di spending review è arrivata anche da queste parti: gli stipendi apicali sono scesi da quota 311mila a quota 240mila e la flotta delle auto blu è ora poco più che simbolica: solo sei vetture in garage.

Ma il vastissimo e laboriosissimo apparato continua a girare e a produrre pareri, verdetti e numeri che troppo spesso restano pura teoria.

Cosi se la giustizia, penale e civile, funziona male, quella contabile è lo specchio di un Paese che sperpera tanto, s'indigna un giorno sì e l'altro pure, ma alla fine non riesce a mettere ordine nei propri conti.

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