Cronache

Così le case confiscate ai boss restano in mano ai mafiosi

Sono almeno 10mila gli immobili sequestrati che lo Stato non è in grado di sottrarre ai clan

Così le case confiscate ai boss restano in mano ai mafiosi

Roma Si chiedono sacrifici agli italiani e si impongono tagli in tutti i settori, ma intanto rimane bloccato un enorme patrimonio dello Stato che potrebbe generare ricchezza. Sono almeno 10mila, ma forse molti di più, gli immobili confiscati definitivamente a mafiosi, che rimangono nelle loro mani per l'incapacità dell'agenzia nata a questo scopo nel 2010 di acquisirli e destinarli ad un uso sociale.

Lo ha accertato la Direzione nazionale antimafia, che si è mossa dopo una segnalazione del distretto di Torino. Ha affidato un monitoraggio su tutto il territorio nazionale alla Dia, la polizia investigativa del settore, che ha consegnato pochi giorni un allarmante rapporto nelle mani del superprocuratore. E Franco Roberti lancia la sua accusa nella relazione della Dna per il nuovo anno giudiziario.

Risultano gravi inadempienze dell'Agenzia per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità, diretta da giugno dal prefetto Umberto Postiglione: di 8.500 beni confiscati non si hanno notizie certe, quasi certamente sono tuttora occupati. In più, al Nord su 1.301 immobili confiscati almeno 259 non sono stati liberati. Al centro, sono almeno 380 su 1.038 i beni dei quali lo Stato non è entrato in possesso. Al Sud, c'è il buco nero: solo in Sicilia, 2.358 immobili sarebbero quasi tutti occupati. E si tratta solo di dati dal 2011.

Parliamo di case, ville, palazzine, anche castelli e torrette, sparsi in tutte le regioni ma concentrate quasi per metà proprio in Sicilia e in alte percentuali in Campania, Calabria, Lombardia e Puglia. Beni pubblici a tutti gli effetti che potrebbero diventare abitazioni e risolvere la grave carenza di housing sociale, uffici pubblici, scuole, residenze studentesche, centri culturali o di accoglienza per immigrati...

Invece, per lo più dopo sentenze e confische definitive rimangono abitate dai boss e dalle loro famiglie, che li utilizzano anche per trarne lauti profitti. Come nel caso clamoroso del castello piemontese di Miasino: 29 stanze affrescate, un parco di 60mila metri quadri sul lago d'Orta con piscina, valutato nel 2009 4,6 milioni di euro. Comprato negli anni '80 dal boss della camorra Pasquale Galasso, arrestato nel 1992, diventato un collaboratore di giustizia e condannato definitivamente nel 2007, malgrado confisca e ordinanza di sgombero del 2011 è gestito dalla società della moglie, che vi organizza cerimonie di lusso, matrimoni, convention e sfilate guadagnando cifre da capogiro.

L'agenzia, con sede a Reggio Calabria, non ha dati certi quasi su nulla. Lamenta carenza di personale (circa 50 persone), farraginosità giudiziaria e normativa, difficoltà di trovare enti, come comuni e Regioni, che si accollino i costi di gestione per affidarli anche ad associazioni no-profit che li richiedono.

Così le confische aumentano, ma solo sulla carta.

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