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Così la Cina in ginocchio può innescare la crisi globale

La banca centrale di Pechino pronta a tagliare i tassi dopo il «crac» di Evergrande. Rischio contagio in Ue

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Evidentemente non bastava la stretta dei tassi d'interesse, l'inflazione, la guerra in Ucraina, il prezzo di petrolio e gas che rialza la testa. La congiuntura economica europea aggiunge la minaccia cinese alla già lunga lista di preoccupazioni. In molti facevano affidamento sul rimbalzo della crescita cinese dopo la fine delle restrizioni per il Covid, ma probabilmente non avevano fatto i conti con l'aggravamento della crisi immobiliare e le pesanti difficoltà di Evergrande e Country Garden (numero uno e numero due del settore).

Le ultime notizie da Pechino - riporta il Financial Times - sono di una People Bank of China (la banca centrale cinese) che nella riunione odierna taglierà i tassi d'interesse di riferimento per finanziamenti a 1 a 5 anni dopo aver ridotto a sorpresa il tasso di finanziamento a medio termine la scorsa settimana. E, sempre dall'autorità cinese, è arrivata un'esortazione alle banche ad aumentare i prestiti alle imprese per sostenere la crescita e i consumi.

I mercati si aspettano da Pechino un intervento deciso per tamponare la crisi. Se questo non avvenisse, le Borse potrebbero innescare una girandola di vendite. Già ora, infatti, il Pil del Dragone potrebbe mancare l'obiettivo del 5% di crescita, ma cosa succederebbe se si verificasse una sorta di «Lehman Brothers» cinese? Per l'Europa non sarebbe certo una buona notizia, dal momento che le economie dell'era moderna sono strettamente interconnesse. L'Italia, nel 2022, ha esportato in Cina 16,4 miliardi di euro, non una cifra rilevantissima su un totale dell'export di 624,7 miliardi (il 2,62% del totale). Tuttavia, il principale mercato di sbocco per le esportazioni del nostro Paese è la Germania (77,5 miliardi). E proprio Berlino ha in Pechino il suo principale partner commerciale con un volume di scambi di 297,9 miliardi (fatto di 191 miliardi di importazioni e 106,9 miliardi di esportazioni). Insomma, se una profonda crisi dovesse colpire la Cina è difficile che la Germania ne esca indenne, a maggior ragione dopo che il Pil tedesco ha conosciuto una recessione tecnica (due trimestri consecutivi in negativo). L'Italia subirebbe direttamente la crisi di Berlino e, a quel punto, in tutta l'Europa si spalancherebbe il baratro della recessione. Del resto, la Cina è il secondo partner commerciale dell'Ue dopo gli Stati Uniti, con un volume di scambi che nel 2022 ha raggiunto il record di 856 miliardi (230 di export e 627 di import).

Di certo lo stato-partito di Xi Jinping dovrà sudare per superare una crisi in mobiliare che potrebbe portarne altre anche più gravi come quella del debito dei suoi governi locali. Quest'ultimi, secondo una recente stima di S&P Global Ratings, hanno accomulato un livello di debito pari al 120% delle entrate. Per Reuters l'ammontare complessivo sarebbe di 9 mila miliardi di dollari e in crescita. La sostenibilità di questo debito è fortemente minacciata dal calo di gettito della vendita di terreni alle società immobiliari. Il crollo delle vendite di proprietà (-27% nel 2022) è pesato come un macigno in tal senso, facendo scendere le entrate derivanti dalla vendita di terreni del 23,3%, con una perdita di circa 288 miliardi di dollari.

Il governo centrale è da tempo a conoscenza del problema e l'anno scorso ha aumentato i trasferimenti diretti di un 17,6% e prevede di aumentarli di un altro 3,6% quest'anno.

Rinforzi arriveranno anche dalla banca centrale cinese che, nel suo comunicato dopo la riunione di venerdì, ha dichiarato che «i dipartimenti finanziari dovrebbero inoltre coordinare il sostegno per risolvere i rischi del debito locale, arricchire gli strumenti per prevenire e risolvere i rischi del debito, rafforzare il monitoraggio del rischio e tenere fermamente la linea per evitare il rischio sistemico».

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