Roma - Il termine bail-in ha fatto la sua comparsa sui grandi media eurropei il 16 marzo 2013 quando la Troika stabilì che il sistema bancario di Cipro, collassato a causa della crisi greca, dovesse essere salvato con il contributo di azionisti, obbligazionisti e depositanti e non solamente del Fondo salva-Stati. La misura consentì di reperire risorse per 10 miliardi.
Ma come accadde che il bail-in, allora presentato come una tantum, diventò la base portante di tutti i salvataggi degli istituti dell'Ue? Occorre tornare indietro di ulteriori 9 mesi al tormentato Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012 nel quale si posero le basi dell'Unione bancaria a fronte dell'uscita programmata dal regime di aiuti di Stato, in vigore proprio fino al 2013 (in Germania sono stati spesi 250 miliardi pubblici), per la soluzione delle crisi bancarie. Il governo Monti, tutto concentrato a tutelarsi dal pericolo spread, «barattò» il primo via libera a questo nuovo set di regole con un regime un po' meno penalizzante per gli aiuti in caso di crisi del debito.
Fu il 18 dicembre 2013, tuttavia, che la direttiva Brrd contenente il bail-in vide la luce. Il ministro dell'Economia del governo Letta, Fabrizio Saccomanni (e con lui il governatore di Bankitalia Ignazio Visco), espresse forte contrarietà poiché «l'intervento pubblico potrebbe essere preferibile al rischio di contagio generato da un esteso bail-in», ma fu costretto ad accettare la proposta tedesca avanzata dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. I clienti delle banche avrebbero dovuto contribuire ai salvataggi almeno fino all'8% degli attivi. Il risvolto tragico di questo episodio, denunciato da Saccomanni, è la minaccia della Germania di scrivere la normativa computando i titoli di Stato come asset a rischio in caso di rifiuto italiano, una bomba per il sistema-Italia visto che banche e assicurazioni detengono circa 350 miliardi di Btp. Peccato, però, che durante gli stress test bancari la Vigilanza europea tenda a seguire questo modello teorico penalizzando puntualmente i nostri istituti.
La direttiva Brrd fu approvata dal Parlamento Ue, ormai in scadenza, il 15 maggio 2014 con il governo Renzi in carica da soli 3 mesi, per altro spesi a contrattare flessibilità per il bonus da 80 euro. Quella normativa fu recepita nell'ordinamento italiano a fine novembre 2015 in occasione del salvataggio delle quattro banche locali (CariChieti, Banca Marche, Banca Etruria e CariFerrara), reso ineludibile dalla decisione Ue di equiparare a un aiuto di Stato l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi anche se questo è totalmente privato sebbene soggetto a coordinamento da parte di Bankitalia.
Quanto accaduto successivamente, dal flop del Fondo Atlante (che ricapitalizzò Veneto Banca e Popolare Vicenza) alla nuova ondata di fusioni bancarie, è una conseguenza del nuovo sistema di regole che obbliga gli istituti a ingegnarsi per evitare di incorrere in quella pericolosa tagliola. A ogni stormire di spread, tuttavia, per i banchieri italiani l'incubo ritorna.
E il fatto che quella del 2015 rimanga l'unica applicazione del bail-in post-Cipro in tutta l'Eurozona (per Mps e le due Popolari venete il processo è stato mitigato) conferma che Visco e Saccomanni avevano ragione, ma sono stati lasciati soli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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