Coronavirus

Così i sindacati dell'ignoranza ostacolano il ritorno a scuola

No alla riduzione delle ferie, stop alle lezioni all'aperto e scioperi: ecco chi sono i veri nemici dell'insegnamento

Così i sindacati dell'ignoranza ostacolano il ritorno a scuola

Il nemico principale del ritorno alla normalità scolastica? Il sindacato. Che ieri ha addirittura disertato l'incontro convocato dalla ministra Azzolina: «Siamo in agitazione, non ci sediamo al tavolo delle trattative».

Gruppi di insegnanti si organizzano autonomamente per fare lezione all'aperto (accade a Prato) nel rispetto delle norme anti-covid? La Cisl-scuola li bocciano: «Procedura illegittima che fa passare le colleghe per vagabonde (sic!)».

Alcuni presidi, al fine di recuperare i tanti giorni persi a causa dell'emergenza-coronavirus, propongono di «ridurre le festività pasquali»? I sindacati li bacchettano: «Le festività previste dal calendario scolastico sono immodificabili».

Il Garante dichiara «illegittimo» lo sciopero proclamato per lunedì prossimo (ultimo giorno di scuola)? Confederati e sigle autonome se ne infischiano e confermano «l'astensione dal lavoro»: «I temi della protesta sono troppo rilevanti per rinunciare alla giornata di lotta».

Da tre mesi le scuole sono chiuse? L'Italia sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia? Ai «comparti scuola» dei sindacati «ufficiali» e «indipendenti» non interessa nulla, per loro le parole Covid sono solo 5 lettere senza senso, molto meno importanti delle cinque lettere di Cobas: «Se il dirigente scolastico formasse un contingente per l'apertura della scuola, ciò si configurerebbe come attività antisindacale». Insomma, le scuole hanno l'«obbligo» di rimanere scuola per «decreto» sindacale. Se ne riparlerà a settembre. Anche se i sindacati già si portano avanti: «Scuole aperte sì, ma solo a determinate condizioni». Le loro, ovviamente.

Altro che 5 in condotta. A 11 anni dall'uscita del libro di Mario Giordano che meglio ha fotografato «tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola», il voto in pagella della nostra Pubblica (d)istruzione si è ulteriormente abbassato. Il colpo di grazia lo hanno dato il coronavirus e una ministra, Lucia Azzolina, nota al momento più per la somiglianza con la Moana Pozzi imitata da Sabrina Guzzanti che per il suo piano di «riforma didattica» in tempi di covid. La ministra pentastellata appena iniziò l'emergenza sanitaria sigillò le campanelle scolastiche. Da febbraio le aule sono deserte. Per la gioia degli studenti e la felicità di una buona (anzi, cattiva) parte di insegnanti, reattiva solo nel cogliere l'opportunità dell'epidemia per farsi contagiare dal virus del «fannullismo». Per loro niente lezioni in smart working, con la scusa di non meglio precisati «impedimenti»; in realtà puerili scuse che hanno fatto infuriare tanti loro colleghi onesti. Docenti che ogni mattina, da tre mesi, e tra disagi di ogni genere, accendono il pc, collegandosi con gli alunni in «video-lezione».

Professori «sgobboni», «mal visti» perfino dagli stessi sindacati cheli accusano di «mettere in cattiva luce quanti non hanno la possibilità di ricorrere al telelavoro». La «possibilità», o - più banalmente - la voglia? Ma guai a porre la domanda, verreste subito accusato di «infangare la classe docente». Nelle cui pieghe si annida, da sempre, uno zoccolo duro di opportunisti che il sindacato si è sempre preoccupato di tutelare, penalizzando così la maggioranza degli insegnati che con passione tirano avanti la carretta della scuola italiana. Il «patto della vergogna» Stato-sindacati si regge su un «accordo»: stipendio basso in cambio di un impegno limitato. C'è chi accetta e c'è chi, per dignità, dice «no»,

La maggioranza, almeno si spera.

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