Assolombarda smonta la manovra del governo puntando il dito soprattutto sui cavalli di battaglia del fronte grillino in tema di tasse, reddito di cittadinanza, infrastrutture e commercio. Dal palco del teatro alla Scala, il presidente Carlo Bonomi ha sferrato un duro richiamo a limiti e rischi, sparando una raffica di no.
No a uno Stato «che chiude gli esercizi commerciali la domenica, sostenendo di difendere le famiglie perchè, ha detto Bonomi, «viola la libertà di milioni di consumatori, abbatte consumi e lavoro, mina la possibilità che proprio le famiglie in cui lavorano due componenti si possano contemperare i tempi di lavoro con le scelte di consumo». No a uno Stato che crede di poter gestire nuovamente il trasporto aereo, e il riferimento è alla gestione del dossier Alitalia: «Se non potevamo permetterci, anche giustamente, un aereo di Stato come quello della presidenza del Consiglio, possiamo mai tornare a permetterci una flotta pubblica di Stato?» si chiede il presidente dei Assolombarda lanciando una provocazione: «Perché non fare un referendum e chiedere agli italiani se vogliono ancora pagare di tasca propria per Alitalia?». Bonomi dice no anche a uno «Stato che si oppone alle grandi opere infrastrutturali come Tap, Tav e Terzo Valico» chiedendo al governo Conte di «parlare la lingua del futuro e non quella del passato».
Il presidente degli industriali milanesi e brianzoli sottolinea che Assolombarda non fa opposizione e «tifa da sempre per l'Italia». Ma respinge al mittente le accuse di chi «ci chiama prenditori (termine più volte utilizzato da Luigi Di Maio, ndr) e che dopo anni di promesse continua a non pagarci oltre 40 miliardi: chi è il vero prenditore?». Nel discorso, però, c'è spazio anche per l'autocritica che Bonomi fa sulla gestione del crollo del ponte di Genova che ha visto coinvolta Atlantia, dei Benetton: «Il ponte Morandi ha anche mostrato che, quando li commette, l'impresa i suoi errori deve ammetterli. Non difendiamo il sistema dell'impresa, nascondendo i nostri errori. Così rafforziamo solo l'ostilità all'impresa, che è già troppo vasta nella politica e nella società italiana», ha detto Bonomi. Il voto complessivo alla manovra è impietoso: «Le stime di maggior crescita del Pil del governo non risultano credibili e il debito pubblico continuerà a salire. E il punto è tutto qui, il governo del cambiamento non ha prodotto una manovra di vero cambiamento e tutti comprendiamo che il dividendo che si ricerca è quello elettorale, non quello della crescita».
Una posizione chiara e netta che arriva dall'associazione delle imprese che operano a Milano e nelle province di Lodi, Monza e Brianza, non va sottovalutato. Per dimensioni e rappresentatività, è l'associazione più importante di tutto il sistema Confindustria. Il cui presidente, Vincenzo Boccia, ieri ha chiuso l'assemblea con un discorso più «dialogante», definendo gli industriali «attendisti con una serie di pregiudiziali». Quasi a voler cercare un punto d'incontro tra l'agguerrito Bonomi e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, intervenuto alla Scala poco prima per illustrare la strategia del governo. Boccia ha invocato una collaborazione tra istituzioni e attori sociali, chiamati a «essere e fare sistema». Ha chiesto alla politica di non «cavalcare le ansie».
Quanto alla manovra, a margine dell'assemblea Boccia ha voluto rimarcare la posizione della categoria sulla questione fiscale: «Noi non amiamo i condoni, ci interessa di più l'idea di una pace fiscale con la rateizzazione, che è una parte che il governo ha previsto. Questo significa pagare tutte le tasse da parte delle imprese che hanno criticità oggettive, però significa nessuno sconto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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