Così l'ideologia del M5s può dimezzare il Recovery: 100 miliardi sono a rischio

Emendamento M5s rimette in discussione il Pnrr. Se i tempi si allungano, si possono perdere risorse

Così l'ideologia del M5s può dimezzare il Recovery: 100 miliardi sono a rischio

La passione per la burocrazia di Cinque stelle e Pd potrebbe mettere a rischio un ammontare massimo di circa 100 miliardi di euro di investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Venerdì scorso le commissioni riunite Ambiente e Affari costituzionali della Camera hanno approvato un emendamento dei pentastellati Zolezzi e Ferraresi che prevede la possibilità di modificare i progetti infrastrutturali allegati al dl Semplificazioni e Governance del decreto «su richiesta di almeno i due terzi dei componenti di una delle commissioni parlamentari competenti».

L'intemerata grillina, passata in commissione con l'appoggio del Pd, ha la «finalità di far valere il ruolo del Parlamento», ma rischia di far crollare tutta l'impalcatura predisposta dal premier Draghi e dai ministri Brunetta, Giovannini, Cingolani e Colao. In pratica, la cabina di regia (nella quale già sono stati fatti rientrare seppur a livello consultivo gli enti locali) per l'attuazione del Piano dovrà accondiscendere a trattare con il Parlamento se si formerà una maggioranza qualificata nelle commissioni preposte all'esame dei provvedimenti, l'esatto contrario dell'accelerazione che il presidente del Consiglio avrebbe voluto imprimere. «La speranza è che i contrasti all'interno dei Cinque stelle non mettano a rischio le riforme e con loro le risorse del Recovery plan e lo stesso governo Draghi», ha commentato allarmato Sestino Giacomoni, componente del coordinamento di presidenza di Fi.

C'è di che essere preoccupati. Se i 25 miliardi di prefinanziamento del Pnrr italiano che dovrebbero arrivare a breve, sono praticamente già spesi perché, come ha spiegato il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, finanzieranno interventi per trasporto pubblico e sistema portuale in sinergia con il Fondo complementare da 30,6 miliardi (sostituiranno a tassi più convenienti i finanziamenti nazionali; ndr), c'è da domandarsi cosa ne sarà degli altri 166,5 miliardi. I fondi del Recovery Plan sono, infatti, condizionati al raggiungimento degli obiettivi. Anche dando per scontato (ma non è esattamente così viste le tante insofferenze M5s) che l'Italia riesca a rispettare il cronoprogramma delle riforme di giustizia, concorrenza, ammortizzatori sociali e fisco, attese tutte alla fine del mese, dovrebbe procedere speditamente a chiudere i 105 progetti previsti nel 2021. L'anno prossimo i progetti saranno 167 per un ammontare di 27,6 miliardi. E poi sempre più serrati perché Next Generation Eu chiude nel 2026: 179 progetti e 37,4 miliardi di euro di spesa nel 2023 e 176 progetti per 42,4 miliardi nel 2024.

Se la verifiche periodiche della Commissione Ue si concludessero negativamente in uno di questo passaggi, il pagamento dei fondi si sospende. Seguono tre opzioni: si sbloccano le impasse e si ottengono i soldi, si ritarda e il progetto viene parzialmente definanziato. La terza è triste: se ci si blocca, i fondi si devono restituire. Le modifiche Pd-M5s sembrano spingere l'Italia verso il passato. E il nostro Paese non brilla per capacità di spesa (i fondi Ue 2014-2020 sono stati impiegati al 55%). Un'analisi di Boston Consulting indica che su un campione di opere pubbliche da 60 miliardi il 60% procede a rilento e il 30% è bloccato.

Ne consegue, sulla base di una media matematica, che farsi mettere i bastoni dalle ruote da M5s ed enti locali sulle valutazioni d'impatto ambientale potrebbe costare tra 65 e 100 miliardi di euro, arrivando a dimezzare il nostro Pnrr.

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