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Così l'Isis fa business con l'arte: prima saccheggia, poi distrugge

Il Califfato cambia linea e vende i reperti prima di far saltare in aria i siti che ha depredato. E le antichità diventano fonte di finanziamento

Così l'Isis fa business con l'arte: prima saccheggia, poi distrugge

Londra - Terroristi e mercanti d'arte. Chi vede nelle distruzioni dei siti archeologici da parte dell'Isis soltanto la follia di un gruppo d'invasati si sbaglia. Dietro a tutto questo si nasconde un vero business. «Le antichità di Palmira sono già in vendita a Londra» afferma infatti un'archeologa francolibanese intervistata dal giornalista Robert Fisk per l' Independent . Joanne Farchakh ha lavorato a lungo nelle città mediorientali, esaminando i siti saccheggiati di Samarra in Irak dopo l'invasione americana del 2003 e dal 2011 si occupa di catalogare le devastazioni avvenute nelle antiche città siriane di Aleppo e Homs. Al quotidiano britannico questa donna così esperta, che con tristezza ha visto il suo amatissimo lavoro trasformarsi in una lacerante opera d'archivio di quello che resta, ha raccontato la sua verità sull'azione distruttrice dei terroristi. «L'Isis prima vende le statue, i reperti, qualunche cosa richiesta dai compratori sul mercato internazionale - afferma Farchakh - prende il denaro e poi fa saltare in aria il tempio da cui queste cose provenivano così da distruggere tutte le prove». In questo modo nessuno saprà mai che cosa è stato rubato e venduto nelle capitali di mezzo mondo. I collezionisti d'arte sono sempre stati pronti a sborsare cifre enormi pur di assicurarsi un pezzo unico e il Califfato questo l'ha capito da un pezzo. «L'Isis ha già portato in Europa dei pezzi siriani e libanesi che prima si trovavano in Turchia, ma che hanno lasciato quel sito già da tempo - prosegue l'archeologa - queste distruzioni nascondono i guadagni ottenuti con il saccheggio dei luoghi che poi sono stati distrutti».

Dal punto di vista della strategia politica e comunicativa Farchakh riconosce all'Isis una certa scaltrezza. «Hanno saputo imparare dai loro errori - spiega - quando iniziarono a distruggere i siti in Siria e in Irak, arrivarono con i martelli, gli autocarri, distrussero ogni cosa più velocemente possibile e ne fecero un filmato brevissimo. Nimrud venne fatta saltare in aria in un giorno, ma il filmato che ne uscì fu di soli 20 secondi. Non so quanta sia l'attenzione che si può catturare con un video così breve». Ora però la tecnica è cambiata, sostiene l'archeologa, l'evento viene annunciato da una grande esplosione, poi arrivano, frammmentate, le sequenze dettagliate di quello che è avvenuto. Come con la distruzione di Palmira dove sono state documentate prima le esecuzioni dei soldati siriani nel tempio romano, poi sono stati mostrati gli esplosivi legati attorno alle antiche colonne, ancora la decapitazione del coraggioso custode in pensione del tempio e soltanto alla fine la distruzione del sito. Un evento costruito ad arte sia per i media, che ormai si erano rifiutati di mandare in onda altro sangue, sia per i mercanti d'arte, perché «più a lungo dura la devastazione, più salgono i prezzi dei reperti rubati». Hanno ancora molto da distruggere gli uomini del Califfato: per autofinanziarsi e per far parlare di sé. Quando avranno finito con i reperti storici, sostiene Farchakh, se la prenderanno con donne e bambini. Ma per adesso usano la storia a rovescio, rispetto a quanto tutti hanno fatto prima di loro. «Saddam Hussein aveva inciso le sue iniziali sui mattoni di Babilonia - conclude l'archeologa - l'Isis ha deciso di fare l'opposto. Invece di imprimere un segno della loro forza sugli oggetti, li distruggono per sempre. Come a dire: non ci sarà mai più né un prima né un dopo.

Ci siamo solo noi».

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