N onostante giocassimo in casa, l'Italia esce dal G7 di Taormina con un sostanziale nulla di fatto. Sui temi chiave, infatti, l'impasse tra i Sette Grandi ha tenuto banco per tutta la due giorni, in particolare sul fronte immigrazione, tema per noi particolarmente sensibile. Ma pure sul commercio e sull'ambiente non si sono fatti sostanziali passi avanti. Paolo Gentiloni lo sa bene e nella conferenza stampa che chiude il summit siciliano ha l'onestà intellettuale di farsi carico di un bilancio che di certo non si può dire positivo.
Lo fa guardando il bicchiere mezzo pieno, certo. Ma avendo il coraggio di non nascondersi dietro frasi di circostanza. Il premier italiano, insomma, non vende niente di più e niente di meno di quello che è riuscito a ottenere. Il successo mediatico del vertice di Taormina è fuor di dubbio, come pure è sotto gli occhi di tutti la sconfitta delle diplomazie sui decisivi capitoli immigrazione e clima e il compromesso sul commercio globale. Gentiloni non si tira indietro, ammette che sul clima si «registra una differenza non secondaria» mentre sul capitolo profughi spiega che non «aspettava sarebbero arrivate soluzioni».
È lo stile semplice che ha caratterizzato la sua permanenza a Palazzo Chigi, perché anche quando lo scorso marzo presenziò in Campidoglio alle celebrazioni dei 60 anni dei Trattati di Roma l'approccio fu molto simile. Così, ancora ieri a Taormina Gentiloni ha voluto rimanere se stesso e non nascondersi dietro facili celebrazioni dell'italianità e di un successo che purtroppo non c'è stato. Nessun trionfalismo, quindi, per un accordo sul terrorismo importante ma sostanzialmente già deciso e messo nero su bianco dalle diplomazie del G7 da settimane e poi «facilitato» dai tragici fatti di Manchester. Il premier italiano lo rivendica, certo. Ma non ne fa la bandiera di uno storytelling di successo come sarebbe accaduto con il suo predecessore.
E qui sta uno dei punti chiave. Perché ascoltando Gentiloni che ammette i limiti di un summit che non è riuscito a sbloccare i capitoli relativi a immigrazione, clima e commercio, la distanza con la stagione di Matteo Renzi a Palazzo Chigi appare siderale. Il premier lo cita nella conferenza stampa finale, per ringraziarlo della scelta di Taormina. Così come ringrazia Maria Elena Boschi, in prima fila seriosissima e con tanto di occhiali da sole. Poi, però, segue un canovaccio lontano anni luce da quella che sarebbe stata la strategia comunicativa di Renzi. Nessuna grancassa, zero trionfalismi, ma la presa d'atto consapevole che la «discussione è aperta» su molte questioni e che si sono trovati «punti di equilibrio». Anche su Donald Trump sceglie diplomaticamente di non sbilanciarsi. E a chi gli chiede un commento sulla prima del presidente americano risponde che era una «prima volta anche per lui» ma che l'ha trovato «molto interessato».
Insomma, piccoli passi verso il tentativo di riuscire a mettere giù strategie comuni. Con una sostanziale intesa sul nodo terrorismo, ma senza nascondere le distanze e le difficoltà. Basso profilo, dunque.
Che è consono all'approccio alle cose di Gentiloni e che non dispiace affatto a un Renzi che raccontano i suoi ancora non sembra essersi fatto una ragione dell'aver mancato l'appuntamento con la storia di Taormina. Il prossimo G7 a presidenza italiana, infatti, arriverà fra sette anni, che sono politicamente un'eternità. E non sta scritto da nessuna parte che allora ci sarà di nuovo Matteo Renzi a Palazzo Chigi.
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